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Cosa si aspetta Dio da me? È molto sempice!

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Loren Kerns | (CC BY 2.0)

padre Carlos Padilla - pubblicato il 16/10/20

Non tutto va al contrario di come sembra. Rivedete i vostri obiettivi

Le cose non vanno sempre come spero. Sogno un frutto e quello che ottengo è qualcosa di diverso. Sogno beni e ricevo mali. Anziché con il frutto che desidero mi trovo senza niente, o con un frutto indesiderato. Perché accade questo?

Se lo chiede il profeta Isaia:

“Egli si aspettava che facesse uva, invece fece uva selvatica… Che cosa si sarebbe potuto fare alla mia vigna più di quanto ho fatto per essa? Perché, mentre mi aspettavo che facesse uva, ha fatto uva selvatica?”

Anziché uva dolce ha ricevuto uva selvatica, grappoli verdi che non arrivano mai a maturare. Sono amari. Il padrone si aspettava un frutto e non ha ricevuto quello che voleva. Delusione, dolore, frustrazione.

Nella vita, se semino quello che sogno, perché a volte ciò che sogno non diventa realtà? Voglio ottenere un frutto, un risultato, e tutto esce al contrario. Quello che volevo ottenere non c’è.

Il frutto è quello che si aspetta il padrone della vita. È come se Dio guardasse la mia vita, la mia vigna, e aspettasse un frutto concreto. Come posso saperlo?

Spesso credo che i frutti siano quelli che posso dare, quelli che hanno a che vedere con le mie capacità. Non capisco che non può essere tutto come desidero.

Vorrei dare i frutti che Dio si aspetta da me, ma in realtà non so quali siano. La mia vigna è la mia anima, è il mio campo di battaglia, è la terra che lavoro e semino, è il mio giardino interiore.

Penso ai frutti in cui spero io e in cui Dio spera. Non so bene cosa spera e si aspetta da me. Spesso credo che tutto ciò che vuole sia che resti al Suo fianco, che non soffra senza motivo e non mi aspetti dalla vita quello che non può darmi.

Vuole che il mio frutto sia l’amore. È l’unica cosa che resterà dietro di me quando me ne sarò andato. Lo so molto bene. L’amore che dono è l’amore che ricevo.

Sant’Agostino ha una frase che spesso viene interpretata male. Padre Kentenich diceva così: “Agostino sapeva della forza unitiva e assimilante del vero amore. Per questo, per lui era evidente che chi ama Dio assimila completamente la sua volontà alla volontà di Dio. Ama e fa’ ciò che vuoi significa quindi ‘Ama soltanto, e poi farai da te ciò che Dio vuole’” [1].

Basta allora amare bene per finire per amare ciò che ama Gesù. Sembra così facile…

Il mio cuore desidera il bene dell’essere amato, ma rifugge la rinuncia dell’amore che si dona. Amare va bene quando sono corrisposto. Amare senza aspettarsi di essere amati sembra impossibile.

L’amore fa assomigliare. L’amore per Dio mi rende simile a Lui. Se Lo amo davvero finirò per assomigliare a Lui e vorrò ciò che Dio desidera per la mia vita. E allora quella frase di Sant’Agostino avrà senso.

Quando amo bene, finisco per volere il bene dell’amato. Non lo rifiuto, non lo nego, non lo maltratto. Desidero che non soffra. Desidero che abbia tutto ciò di cui ha bisogno, anche se io non ce l’ho. Se amo non farò mai il male.

È curiosa questa frase che sembrava dare tanta libertà. Ciò che voglio finirà per essere quello che vuole Dio. Assomiglierò di più a Dio rispetto a quanto gli assomiglio ora.

Quello che Gesù si aspetta dalla mia vigna è che in essa, nella mia anima, regnino Lui, il Suo amore, la Sua presenza, la Sua vita. Desidera che la mia vigna Gli appartenga. Che possa mettere tutto nelle Sue mani e non abbia paura di perdere la vita amando. Mi chiede solo questo.

Perché ci sia frutto dovrò circondare la mia vigna, la mia anima. Un orto chiuso. Uno spazio sacro in cui Egli abita. Questo mi piace. Circondarlo perché la mia anima non venga saccheggiata.

Oggi sono così esposto… È come se il mondo volesse sapere tutto di me, conoscere la mia vita, le mie virtù, i miei difetti, la mia storia, i miei successi e i miei peccati, le mie cadute.

Sembra che Dio voglia crearmi un luogo chiuso e sacro. Vivo esposto al mondo, e così è impossibile coltivare bene la mia terra.

Permetto facilmente che altri entrino e saccheggino la mia interiorità. Lascio che le critiche, i giudizi e gli sguardi mi avvelenino l’anima e mi rendano triste.

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SplitShire - CC

Dio vuole lavorare nel mio giardino. Scavare, ripulire la terra, irrigarla, lasciarla soffice e permettere così che il seme si insedi e muoia per dare vita.

Dio irrigherà la mia interiorità aspettando frutti. Ma quei frutti non sono miei, sono Suoi. Io faccio solo attenzione a far sì che il recinto non si rompa, e impedisco che entrino persone estranee che possano non amare ciò che c’è in me.

Cerco di stare vicino a Dio e di far sì che nessuno entri dove sono da solo con Lui. Quanto è sano il pudore! Mi protegge dalle intromissioni. Non permette che altri entrino in me. Mi guarisce dentro. Mi purifica.

Voglio che Dio desideri i miei frutti, perché così so che Gli importa di me. Voglio conoscere la mia originalità, la mia verità, il tipo di frutto che posso dare. È quello che Dio si aspetta. Solo questo. Non ho bisogno di assomigliare a nessuno. Diceva padre Kentenich: “In questa era di massificazione crescente, dovremmo evitare attentamente tutto ciò che può aumentare questa tremenda malattia del tempo” [2].

Mi massifico quando vivo esposto, senza recinto, senza pudore, volendo essere come gli altri. Quando non valorizzo il frutto che do oggi, che è diverso da quello altrui. È bello quando non mi paragono e vivo felice della mia vigna. Quando coltivo il mio mondo interiore e lascio che in esso il seme muoia per dare frutto.

[1] King, Herbert. King Nº 2 El Poder del Amor
[2] King, Herbert. King Nº 2 El Poder del Amor

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