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Ingegnere e sacerdote: “Lasciare tutto come gli apostoli è una follia”

OPUS DEI

Hector Razo | Opus Dei Communications Office

Javier González García - pubblicato il 14/10/20

Guillermo Bueno è un giovane di Siviglia, e a settembre si è ordinato in Vaticano come sacerdote dell'Opus Dei

“Lasciare tutto è sempre una follia”. Provateci. Spegnete il cellulare. Lasciate la borsa, uscite di casa e decidete che tutto quello che avevate non lo avete più. È quanto ha fatto Guillermo, un giovane di Siviglia (Spagna). “È gettarsi col paracadute senza sapere se si aprirà. Ma allo stesso tempo è una meraviglia”.

Guillermo Delgado Bueno è nato a Siviglia 36 anni fa. La sua è una famiglia di professori, medici e ingegneri, e lui ha deciso di fare tutte e tre le cose: “Ho studiato Ingegneria delle Telecomunicazioni e il mio primo lavoro è stato come professore in una scuola. Poi ho lasciato tutto per lavorare come ingegnere e ho conseguito un master in direzione d’impresa. Ho anche un dottorato in Medicina”.

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Hector Razo | Opus Dei Communications Office

“Non ho mai avuto un sogno idilliaco da bambino”, ha raccontato Guillermo, “ma crescendo mi ha interessato l’ingegneria. Nella mia famiglia sono tutti medici, professori e ingegneri. Sognavo di diventare ingegnere anch’io”. Era un giovane molto preparato per la società in cui viviamo. Con un profilo come il suo, pochi avrebbero potuto predire quale sarebbe stato il suo futuro.

A 13 o 14 anni, quando i bambini vogliono essere come Cristiano Ronaldo o Lionel Messi, a Guillermo “qualcosa si è messo nella testa”. Qualcosa che i cattolici chiamano vocazione. “Fino a dopo essere diventato maggiorenne non avevo mai pensato di diventare sacerdote, anzi, rifiutavo l’idea. In realtà ho scoperto la vocazione molto prima, a 13 o 14 anni, quando ho sentito la vocazione all’Opus Dei come numerario. Ero troppo giovane e ho dovuto aspettare, ma la decisione era presa”.

“Dai 14 anni ho camminato in quella direzione. Sono stato numerario dell’Opus Dei, e questa è la mia vocazione. E all’interno di quella vocazione il Signore mi ha chiesto di diventare sacerdote per servire l’Opus Dei. È una specifica di cui mi sono reso conto a 26 anni o giù di lì”.

E così un ingegnere con esperienza di vari lavori e una tesi di dottorato ha deciso di lasciare tutto e di “gettarsi col paracadute”. “È meraviglioso perché significa abbandonarsi a Dio. Vedendo l’ambiente che prevale nella società, in cui è difficile vivere le virtù cristiane, è una sfida. Non è una follia, e allo stesso tempo lo è. Non è una follia perché è una cosa che attira molto e Dio aiuta tanto, ed è una follia perché significa andare controcorrente. Ogni volta che si parla di lasciare tutto allo stile del Vangelo come gli apostoli è una follia e qualcosa di molto attraente”.

Guillermo è stato ordinato sacerdote nel settembre 2020, e ho parlato con lui un mese dopo. Quando gli ho chiesto che sacerdote vuole essere in futuro la risposta è sbocciata da sé: “Ho un fondatore che è un sacerdote santo. È la via che ha delineato San Josemaría ed è un cammino di santità. Si nota in lui, nel beato Álvaro o nella beata Guadalupe. Vorrei che il mio sacerdozio fosse come il suo. Un sacerdozio in cui nonostante la stanchezza e le difficoltà e malgrado tante contraddizioni di brava gente… gli dicevano che era pazzo, e poi quanto bene ha fatto alla Chiesa! Un altro esempio che mi piace molto è quello del curato d’Ars, un sacerdote che trascorreva molte ore nel confessionale, e che essendo una persona molto normale e semplice attirava la gente”.

“Ci troviamo in un mondo in cui basta spiegare le vele e il vento ti porta dove soffia. A volte la velocità è tale che non si riesce a sognare, a pensare, a riflettere”. Per questo Guillermo, un ragazzo che ha studiato molto e si è lasciato indietro tante cose, vuole lanciare un messaggio ai giovani: “Li esorterei a voler scoprire chi è Gesù Cristo. A scoprire la loro vita, e come la vita cristiana non sia un tentare di non fare cose proibite o una vita di doveri…”

“La vita cristiana è la vita di una relazione con una persona, e man mano che si cura questa relazione e che questa persona risponde e c’è una comunicazione si crea un dialogo e un sentire Dio dentro di sé. Questa centralità è fondamentale. Quando un giovane si rende conto di questo inizia a dire: ‘Io sono cristiano e gli altri non lo sono. E vorrei che lo fossero anche gli altri’. Quando qualcuno scopre questo ha una grande fortuna. È quello che vorrei suscitare nei giovani, perché si rendano conto della meraviglia che è la vita cristiana”.

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