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Carine Salomé porta Dio nei campi dei rifugiati

CARINE SALOME

Timothée Dhellemmes

Domitille Farret d'Astiès - Timothée Dhellemmes - pubblicato il 10/10/20

Laica consacrata al servizio della diocesi di Avignone, Carine Salomé ha una missione particolarissima: portare Dio nei campi dei rifugiati dai paesi del Sud.

Djuba, Khartum, Erbil, oggi Samo… Carine Salomé, 44 anni, oggi in missione sull’isola greca, ha visitato un certo numero di città sensibili – che sia in Sudan, in Iraq o in Grecia. Laica consacrata nella comunità dell’Agnello – che conta religiosi e religiose, ma pure dei laici – viene inviata ogni anno dalla diocesi di Avignone, in collaborazione con l’ONG Fidesco, nei campi profughi dei paesi del Sud, per un periodo che va dai tre agli otto mesi l’anno. Ogni volta va ad incontrare il vescovo locale e si rende disponibile per il servizio. La sua missione? Praticare l’adorazione eucaristica nel cuore dei campi e proporre un sostegno spirituale, in particolare presso i bambini.


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Proveniente da una famiglia anticlericale, non conosceva niente di Dio ed ha vissuto un lungo cammino di conversione prima di ricevere – all’età di 25 anni – il battesimo. Aveva già esercitato attività professionale nel campo umanitario, prima, ma si è resa conto che la dimensione spirituale era troppo assente nelle ONG. «Il corpo ha bisogno di molte cose, ma quando uno ha perso tutto ha pure bisogno di ricostruirsi interiormente», insiste da dentro la sua felpa con croce di legno ben evidente al collo. I rifugiati «attendono di essere visitati», aggiunge. «Siamo stanchi di ricevere cose – sente attorno a sé –: quello di cui abbiamo bisogno è un po’ di speranza». E proprio in quei posti, che sono talvolta dei “deserti spirituali” circondati da recinti spinati e posti di guardia, Carine Salomé porta dell’altro. Presenza gratuita e amichevole, visita le famiglie, fa l’oratorio coi bambini, allestisce le adorazioni nel cuore dei campi. A Khartum ha portato il Santissimo Sacramento nelle unità penitenziarie dei condannati a morte.

Pur essendo testimone di sofferenze estreme, la sua missione la sospinge nella speranza. «La vita è possibile», dice con stupore, e ammette di aver imparato molto della preghiera dai bambini dei campi. Ha vissuto molti incontri che l’hanno segnata, a cominciare da quello con una donna vittima dell’Isis che un giorno le ha buttato lì, radiosa:

A forza di contemplare il volto di Cristo nel Santissimo Sacramento, riesco alla fine a ringraziare l’Isis. Cominciavamo a costruire un terzo piano a casa, avevamo delle macchine e volevamo comprarne un’altra… stavamo in qualche modo costruendoci la nostra torre di Babele. In due ore, mi hanno preso tutto. Oggi so che mi hanno permesso di tornare nel profondo del mio cuore.

E la missionaria afferma senza esitazioni:

Quando si dà la forza di Gesù vivo, vincitore di tutto, la gente ritorna a camminare sulla propria strada; quale che sia l’estrema sofferenza in cui si versa, Cristo la trasforma in vita che zampilla e in fecondità. Sono testimone di tutte le meraviglie che il Signore compie nel cuore della gente.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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