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Quando la malattia o la disabilità è motivo di divorzio

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Orfa Astorga - pubblicato il 08/10/20

Sono molti i matrimoni che saltano quando uno dei due subisce all'improvviso un handicap o soffre di una malattia grave degenerativa

Esistono dati molto tristi su coppie relativamente giovani che arrivano al divorzio quando un membro si trova in condizioni di dipendenza. A quanto pare, il tasso di divorzio è superiore al 70 % quando uno dei due soffre di una malattia cronica degenerativa che inizia a limitarlo o è già invalidante, o quando, dopo aver subìto un incidente, vive con una disabilità importante.

Nella mia esperienza clinica, conosco le due facce della medaglia. Entrambe hanno in comune la difficoltà a equilibrare il rapporto di coppia, che è inevitabilmente diseguale perché il coniuge sano deve portare avanti tutte o la maggior parte delle responsabilità familiari con il peso fisico ed emotivo che comporta.

Il coniuge sano, poi, in certi casi vive delle vere perdite, come:

  • Perdita dell’intimità matrimoniale non avendo più rapporti sessuali.
  • Smettere di condividere molte esperienze della tappa presente e futura.
  • Perdita dell’amicizia profonda quando il malato non è più in grado, a livello emotivo o cognitivo, di comunicare, e quindi non può essere il suo miglior consigliere, o la persona di massima fiducia.
  • Fine del progetto in comune di un futuro cobiografico pieno di speranze familiari.
  • Addio alla sicurezza di riposare nell’altro. Le sue qualità e i suoi attributi non sono più nella loro pienezza.

Questa è una faccia della medaglia.

Un “umanesimo” giustifica il diritto del coniuge sano a rifarsi una vita di fronte alla difficoltà o impossibilità di riuscire a tornare ai progetti che aveva con il partner prima della malattia o dell’incidente.

In certi casi si decide di salvare la coscienza, mantenendo l’impegno della cura del coniuge malato, ma separandosi con il divorzio o vivendo insieme ma non più in intima e indissolubile unità. A volte si cerca invece una libertà che permetta di avere una nuova relazione.

Dall’altro lato, spesso si conta sul sostegno di persone vicine ed estranee che capiscono il fatto che si abbandoni il coniuge in una situazione complicata. Tutto questo può riassumersi in un unico commento che avrete sicuramente sentito in più occasioni: “Sei ancora giovane. Hai una vita davanti e il diritto di essere felice”.

L’altra faccia della medaglia

Ma esistono anche casi in cui il coniuge sano decide di essere fedele alla promessa matrimoniale nonostante le perdite menzionate in precedenza e riesce ad essere felice. Com’è possibile?

In questa difficile situazione, quella coppia vive integralmente l’amore coniugale attraverso due dinamiche che sono motivi di bontà per la loro unione:

  1. Le dinamiche psicosomatiche in cui concorrono l’aspetto emotivo, fisico e chimico. La coppia può continuare ad amarsi attraverso il corpo, che sente e si esprime nella sua totalità. Si ama il corpo dell’altro come il proprio. Questo viene chiamato “trascinamento affettivo”.
  2. Le dinamiche spirituali sono quelle mediante le quali partecipano attivamente l’intelligenza e la volontà di conoscere e amare l’altro come un bene in sé, con il desiderio allo stesso tempo di costituirsi nel loro bene maggiore.

In entrambe le dinamiche, esiste un unico io che presiede nell’amore. Ciò vuol dire che sono io quello che sente, sono io quello che conosce, quello che si innamora e ama. Viene chiamato coinvolgimento personalizzato, ed è ciò che permette di voler continuare ad amare e cerca mille modi per far crescere, sanare e riordinare il rapporto di unione per preservarlo nell’essenziale, con un cominciare e un ricominciare.

Il trascinamento affettivo e il coinvolgimento personalizzato sono quelli che rendono possibile l’abnegazione e il sacrificio, con la misura dell’amore, che è l’amore senza misura, rendendo i coniugi un’unica carne e un solo spirito.

Per questo, quando si promette la fedeltà nella salute e nella malattia, nel bene e nel male, si riconosce che l’amore buono e vero è una verità possibile, al margine del corso che possono prendere le circostanze della vita futura.

Ciò che si sta promettendo è che quando il piano psicosomatico potesse risultare intaccato da una malattia, un incidente o anche solo il passare del tempo, allora entreranno in gioco con tutta la loro potenza le dinamiche spirituali di chi ama, per stabilire una nuova forma di amare, in un nuovo ordine.

Un nuovo ordine che permette di amare il corpo depauperato del coniuge malato o invecchiato come se fosse il corpo di chi se ne prende cura.

In quest’ordine, il coniuge sano può sforzarsi di condurre una vita con gratificazioni comunicabili all’amato, come il mantenere il contatto abituale con le amicizie, portare avanti un progetto personale, studiare o perfino lavorare a qualcosa di nuovo, fare qualche sport, socializzare…

E ottenere la grazia di Dio per essere felici, senza frustrazioni, risentimenti o amarezze. Difficilmente si abbandona un figlio malato o lo si disconosce, per cui non esistono ex figli, come non dovrebbero esistere ex coniugi, quando per l’amore vero l’unione nell’essere è reale.

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