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Il jazz è appropriato per accompagnare i testi liturgici?

JAZZ

Myer Randolph-redroofmontreal-(CC BY-ND 2.0)

Martín Susnik - pubblicato il 23/09/20

Messa e jazz, accoppiata idonea? Apriamo il dibattito facendo conoscere alcuni esempi

Qual è il genere musicale più adatto per accompagnare i testi liturgici? È un dibattito che va avanti da qualche anno all’interno dell’ambiente ecclesiastico, con proposte dalle più conservatrici alle più progressiste. Lasceremo la questione aperta per la riflessione del lettore.

Sappiamo che non sono stati pochi i tentativi di collegare il canto liturgico alle musiche di origine popolare. Non accade solo nelle parrocchie, perché alcune di queste opere hanno raggiunto una certa fama nell’ambito della musica “accademica”, come nel caso della Misa Criolla dell’argentino Ariel Ramirez o della Missa Luba di Guido Haazen O.F.M..

L’obiettivo di questo avvicinamento all’aspetto popolare è a volte quello di poter ascoltare o anche cantare i momenti tipici della Santa Messa in ritmi e tonalità vicini e familiari per l’assemblea, la cui partecipazione attiva è lodevole e la cui identificazione affettiva con quello che si sta interpretando non è di scarso rilievo. In questo senso, con gli anni la musica di origine popolare ha guadagnato terreno di fronte a opere di taglio classico e accademico, in base alla regione e ai costumi, ma ciò può anche essere dovuto al tentativo di cercare nuove strade per la musica sacra, ispirandosi a generi originariamente non collegati ad essa.

Cosa accade con il jazz? È un genere di origine popolare, senz’altro, ma ha quel tocco accademico e sofisticato che fa sì che alcuni lo considerino “musica per musicisti”. È sicuramente un genere secolare, ma la sua radice arriva agli spiritual neri con un profondo nucleo religioso.

Il jazz è appropriato per la liturgia? Può accompagnare la recita del Signore, pietà, del Gloria, ecc.? Insistiamo, lasciamo aperto il dibattito, ma vorremmo farvi conoscere alcune Messe composte con ispirazione jazz perché il dibattito stesso possa vedersi arricchito.

“Little Jazz Mass”, di Bob Chilcott (1955-)

Chilcott ha lavorato come arrangiatore per la BBC Radio Orchestra ed è stato cantante e compositore dei King’s Singers di Cambridge. È convinto che la musica possa unire la gente, e a questo scopo ha deciso di unire due tradizioni e linguaggi diversi come quelli delle preghiere liturgiche e del jazz, senza che questo tentativo risulti forzato.

L’opera in questione è stata scritta nel 2004 per il Crescent City Choral Festival, ed è stata rappresentata per la prima volta nella cattedrale di St. Louis, a New Orleans. È composta per coro misto (SATB), piano e insime di contrabbasso e batteria opzionale (ad lib.), anche se c’è una partitura anche per SAA (voci femminili). Si compone delle cinque preghiere del Messale (Kyrie – naturalmente in greco –, Gloria, Sanctus e Benedictus, Agnus Dei, tutti in latino), nel corso delle quali passa per vari stili di jazz. Il Kyrie possiede un groove vicino alla bossa-nova, il Gloria ha più swing, l’Agnus Dei ha una chiara ispirazione blues… Tra le sue particolarità c’è quella di esprimere molta pace in frammenti di testi in genere più pomposi (il “domine Deus, Rex cælestis, Deus Pater omnipotens” del Gloria, o il “Sanctus, Sanctus, Sanctus”).

L’opera è stata interpretata in numerose occasioni, sia come concerto che come parte della cerimonia liturgica, specialmente nella cattedrale di St. Paul di Londra. Il compositore è autore di molte altre composizioni sacre, e anche di un’altra Messa dello stesso stile, la Nidaros Jazz Mass.

“Mass in Blue”, di Will Todd (1970-)

Todd è un pianista inglese esperto in improvvisazione, ma ha anche un importante passato come coreuta, per cui dice: “Per me è piuttosto naturale unire la musica improvvisata e la musica corale”. Ha scritto molte opere di ispirazione religiosa: oratori, opere, canzoni, perfino un’opera intitolata Passion Music, del 2018. La sua motivazione principale è “il desiderio che la musica abbia un effetto positivo sugli ascoltatori e sugli interpreti – creare qualcosa di magico”.

L’opera menzionata è stata scritta nel 2003 ed è stata dedicata dall’autore alla moglie, il soprano Bethany Halliday. È meno plausibile per l’uso liturgico (soprattutto per la sua durata, che può superare i 40 minuti), e l’autore ha riconosciuto che non è stata scritta a questo scopo. È composta per SATB, trio di jazz (piano-basso-batteria), insieme di ottoni e solista. I suoi movimenti sono sei: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Benedictus e Agnus Dei. È un’opera più impegnativa dal punto di vista vocale.

È nota soprattutto l’intenzione di sottolineare musicalmente il significato del testo, come nel Gloria o nella parte del Credo che si riferisce all’incarnazione, morte e resurrezione di Cristo. Il Benedictus presenta alcuni cambiamenti ritmici e contrappunti vocali molto interessanti. La parte più riuscita è forse l’Agnus Dei, con partitura per solista molto in tono gospel, anche se alla fine riprende liberamente frammenti del Credo (quasi come un bis), per poter terminare l’opera con un carico emotivo gioioso.

L’autore ha composto anche altre opere di ispirazione cristiana, tra le quali la Jazz Missa Brevis, composta questa volta con un esplicito proposito liturgico.

“Misa en Jazz”, di Miguel Castellarín

Opera composta nel 2007 per coro, solisti e big-band, consta di sei parti, in questo caso con il testo in spagnolo. il Señor ten piedad è in tono gospel-blues, il Gloria è scritto a ritmo di salsa (approfittando di un ensamble di percussioni più completo che nelle opere menzionate in precedenza), il Credo e il Santo hanno molto swing (il secondo è vicino anche all’R&B), l’Aleluya è in stile funk e infine il Cordero de Dios in bossa. L’opera è stata interpretata con successo in vari Pasi dell’America Latina e anche alla Giornata Mondiale della Gioventù di Panama del 2019.

“Da bambino ho sempre voluto suonare jazz in una chiesa. Volevo regalare buona musica a Dio”, ha dichiarato il musicista argentino. “Ho deciso di mescolare le cose che amo di più: la fede e la musica… Lo faccio in segno di riconoscenza nei confronti di Dio, per quello che mi ha donato”.

Abbiamo lasciato per il finale due opere che, anche se composte prima di quelle già menzionate e considerate “Messe Jazz”, risultano più vicine allo stile classico – anche se ammettiamo che è difficile discernere cosa sia jazz “puro” e cosa no.

“To Hope! (A Celebration) – A mass in the Revised Roman Ritual”, di Dave Brubeck (1920-2012)

Si tratta di un’opera concepita in tono classico, ma mescolando elementi del linguaggio jazz proprio dell’autore. Composta per solisti, coro, piano, quintetto di ottoni, percussioni e ensemble di archi, può essere interpretata in diversi formati. È stata scritta nel 1980, e può essere sia presentata in concerto che essere eseguita durante il servizio liturgico. La sua durata (circa 40 minuti) è dovuta ai suoi 16 movimenti, che includono i cinque tradizionali, più altri passi biblici in musica, un Alleluia, un Padre Nostro e un inno di comunione, tra gli altri. I testi cantati sono in inglese.

Burbeck è stato un noto pianista e compositore statunitense, uno di massimi esponenti del cosiddetto cool jazz. Si è convertito al cattolicesimo poco dopo aver composto quell’opera. Nel 1996 ha ricevuto il Grammy Lifetime Achievment Award, e nel 2006 la medaglia Laetare dell’Università di Notre Dame. Nel 2008 è passato a far parte della Hall of Fame della California, e nel 2009 ha ricevuto il dottorato ad honorem da parte del celebre Berklee College of Music, oltre ad aver ricevuto molti altri riconoscimenti.

“Mass”, di Steve Dobrogosz (1956-)

Potremmo dire che si tratti di una Messa composta da un pianista jazz più che una Messa-jazz
in sé. L’opera di Dobrogosz risente molto dell’influenza della musica classica e di altri generi. Scritta nel 1992 con fini più concertistici che liturgici, per coro SATB, piano e ensamble di archi, è formata da cinque parti: Introitus/Kyrie, con momenti energici e armonie perfino epche; Gloria, che include principalmente un dialogo tra piano e coro (non poche voci a cappella, ricordando il gregoriano); Credo, con grande sensibilità; Sanctus, in cui si vede forse meglio la combinazione del classico col jazz; Agnus Dei, per cui vale lo stesso commento, anche se con melodie e armonie più calme.

L’opera compositiva di Dobrogosz include, tra le altre opere sacre, un Requiem, un Te Deum, una Cantata di Natale e uno Stabat Mater.

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