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Il bambino che ho abortito è amato da Dio e lo sarà sempre

DONNA, MALATA, OSPEDALE

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Aleteia - pubblicato il 23/09/20

Quando abbiamo perso nostro figlio dopo sole 9 settimane di gestazione, volevamo onorare la sua vita con un funerale, sapendo che la sua anima vive con Dio per l'eternità

“Mi dispiace, ma non c’è più battito…” Quelle parole mi hanno colpito come una secchiata d’acqua fredda. Non era possibile. Non potevo credere che nostro figlio, chiaramente visibile su quel monitor nella sala delle ecografie, se ne fosse andato.

Commossa, ho chiesto al medico: “È sicuro?” Mi ha detto di sì, e mi ha anche spiegato che non era colpa mia. “Probabilmente c’era una malformazione cromosomica”, ha detto.

Sono scoppiata in lacrime. “Ma quando è successo?”, ho chiesto.

“Circa due settimane fa… So che fa male. Ci si sente come se si fosse in lutto per una morte”, ha detto.

Volevo rispondere, ma ero troppo sconvolta.

Quel bambino, il nostro terzo figlio, era arrivato in modo un po’ inaspettato. I primi due erano ancora molto piccoli, ma abbiamo preso sul serio la promessa fatta il giorno delle nostre nozze, quando il sacerdote ci aveva chiesto: “Siete disposti ad accettare con amore i figli che Dio vorrà donarvi?”

Un regalo è benvenuto, non si esige e non si rifiuta. Visto che non avevamo motivi seri per rimandare una gravidanza, ci piaceva che il Signore ci sorprendesse.


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Non ci aspettavamo sicuramente questo tipo di sorpresa, che Egli chiamasse alla vita un bambino solo per allontanarlo da noi dopo poche settimane di gestazione.

Ho continuato a piangere per un bel po’; mi hanno detto di prendermi del tempo per calmarmi e chiamare mio marito (per via della pandemia non gli avevano permesso di accompagnarmi in ospedale).

Parlare con lui mi ha aiutata a cambiare punto di vista, passando dal guardare in basso al guardare in alto, da una morte incomprensibile alla vita eterna.

Gli ho detto: “Amore mio, crediamo che nostro figlio sia esistito ed esista ancora. Dio già lo amava. Ormai è in Paradiso e prega per noi. E questa morte deve avere senso; dobbiamo solo capire cosa vuole ora Dio…”

In quel momento, ho visto la verità in modo molto chiaro: se nostro figlio era amato da noi e dal Signore, dovevo comportarmi come avrei fatto con qualsiasi altro dei miei figli.

Il medico mi aveva dato due opzioni: lasciare che il bambino venisse espulso dal mio corpo in modo naturale o sottopormi a un intervento, cosa che i medici ritenevano fosse meglio evitare, se possibile, visto che avrebbe comportato un’anestesia e un’operazione.

Non volevo che mio figlio sfuggisse via praticamente senza che nessuno se ne rendesse conto. Meritava cura e rispetto, fino alla fine. “Voglio operarmi e chiedere un funerale per il bambino”, ho detto a mio marito, e lui ha subito accettato.

Prima di comunicare al medico la mia decisione, ho iniziato a chiedermi se non fossi razionale. Chi avrebbe chiesto un funerale per un bambino morto dopo appena nove settimane nel grembo materno?

Devo dire che quando ho parlato con il personale sanitario ero ancora più scoraggiata. Avere un funerale sembrava impossibile!

Mi hanno detto che dovevano svolgere degli esami sul feto, e che era difficile portarlo via dall’ospedale perché era considerato solo “materiale organico”.

All’inizio mi sono confortata con un compromesso. Ho accettato che il cappellano dell’ospedale entrasse per benedire il mio bambino il giorno dell’intervento.

Mio marito, però, non si è arresto. Ha insistito sul fatto che potevamo scegliere come congedarci dal nostro piccolo e ha chiamato l’agenzia funebre.

Sono stati gli addetti delle pompe funebri a dirci che un funerale era legalmente possibile. Si sono informati su quello che bisognava fare e hanno ottenuto tutti i permessi necessari dal municipio, dal distretto sanitario e dall’ospedale.

Hanno lavorato tre giorni per noi perché il nostro desiderio si realizzasse (senza chiederci nulla, tranne la bella cassa di legno in cui lo avrebbero deposto. Ci hanno regalato tutto il funerale!).


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Mi sono sottoposta all’operazione, e provvidenzialmente tutto è andato come progettavamo.

La cerimonia funebre ha avuto luogo sabato 13 giugno, anniversario della nascita al cielo della Serva di Dio Chiara Corbella. Ci è sembrata una bellissima coincidenza, visto che siamo molto vicini a lei e al suo modo di vedere la vita.

Mio marito mi diceva spesso: “Parli troppo di Chiara. Secondo me il Signore prima o poi ti chiederà qualcosa di simile…”

Dentro di me pensavo “Speriamo di no!”, ma poi aggiungevo: “Signore, sia come Tu vuoi, donami la Tua grazia”. Posso testimoniare che a questa croce non è mancata grazia, al contrario! Mi sono aggrappata a Dio come avevo fatto poche altre volte nella vita.

Il giorno del funerale, di fronte alla piccola bara bianca di nostro figlio (lo chiamavamo Andrea), ci siamo profondamente commossi.

Era tutto così reale: aveva un nome e un cognome, e un corpo – piccolo come una noce, ma destinato alla Resurrezione l’ultimo giorno, come il nostro.

Gli avevamo già dato la vita! È stato toccante vedere quella bara bianca a due metri dal tabernacolo. Mi è sembrato un dono immenso che mio figlio fosse davanti a Cristo anziché in un inceneritore.

Qualche giorno prima di scopire che Andrea non era più vivo, avevo chiesto al Signore di mostrarmi quanto amava i bambini che ancora dovevano nascere.

Era incredibile che avesse deciso di rispondermi non con una pagina del Vangelo, la frase di un santo o un’ispirazione, ma con la vita stessa di mio figlio.

È stata una vita breve, “con difetti”, ma assolutamente unica, preziosa e irripetibile. Se lo amavo io, che sono solo una persona imperfetta, con molti limiti, quanto potrà amarlo di più Dio?

“Vedrai che la prossima volta andrà meglio”, mi diceva la gente, cercando di consolarmi. Ma in che senso sarebbe dovuta andare meglio la prossima volta?

Perdere un figlio è un dolore immenso e profondo che non ti abbandona mai. So di cosa sto parlando. Mentre gli dicevamo addio, mi sono reso conto che nostro figlio non era stato un fallimento o un errore della natura che dovevamo dimenticare; era esistito e sarebbe esistito sempre. Dio lo ha creato per l’eternità.

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