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È di Hafsa il corpo ritrovato nell’Adda. Il papà si immergeva ogni giorno per cercarla

PADRE HAFSA

Piero Carnini|Facebook

Silvia Lucchetti - pubblicato il 22/09/20

Hafsa è scomparsa nell'Adda il 1 settembre, il papà ogni giorno ha affrontato le correnti per ritrovarla. Finalmente grazie alla segnalazione di due pescatori la famiglia può onorare la sua morte.

Quanto è forte il legame d’amore fra un genitore e un figlio? La risposta, semmai ce ne possa essere una con un minimo di capacità di dare un riscontro “ponderale” al vincolo naturale più viscerale, sta tutta nella storia di Hafsa, ragazzina 15enne e del suo papà, riportata dal quotidiano La Provincia di Sondrio.

Hafsa scomparsa nelle acque dell’Adda il 1 settembre

Il primo settembre l’uomo era ancora in Marocco, quando la figliola, per cercare di raggiungere una spiaggetta si è immersa in un torrente proprio dove confluisce nel fiume Adda, scomparendo nei vortici senza che i familiari e gli amici che erano con lei potessero fare nulla. I tentativi dei vigili del fuoco e dei soccorritori per recuperare il corpo dell’adolescente si sono rivelati sino ad oggi vani, anche se non sono stati ancora interrotti. Il papà non può tollerare l’idea di non poter dare sepoltura e piangere la figlia in un cimitero, per cui per oltre 10 giorni ha continuato per proprio conto a cercare la sua Hafsa annegata nell’Adda, scandagliandone il fondo.

Domenica 20 settembre grazie alla segnalazione di due pescatori è stato ripescato un cadavere nel fiume Adda, presso la località San Pietro a Berbenno. Immediatamente, sia per la compatibilità del luogo della scomparsa e quello del ritrovamento,  sia per le caratteristiche fisiche del corpo, si è pensato alla giovane Hafsa. I rilievi tecnico scientifici della Polizia di Stato e il riconoscimento dei genitori in obitorio hanno confermato l’ipotesi iniziale: si tratta della 15enne annegata nel fiume il 1 settembre scorso e cercata senza sosta dalle squadre di soccorso e dal padre, il 37enne Hamed Ben Duod, che ogni giorno si è immerso nel fiume per trovare la sua bambina e onorarne la morte. Finalmente la famiglia può piangere sul corpo della loro amata Hafsa.

Ogni giorno si immerge nell’Adda: “non posso smettere di cercarla”

Un residente della zona ha pubblicato su Facebook il video di quest’uomo che vaga disperato nelle acque del fiume, suscitando molte preoccupazioni per il rischio di annegare anch’egli, visto che nuotare in quel braccio del fiume nei pressi del Parco Bartesaghi è oltremodo pericoloso. Lui però è determinato ad andare avanti e afferma:

Non posso smettere di cercarla. Mi sto dando da fare per trovarla e spero ci sia qualcuno con buona volontà che voglia mettersi a disposizione per aiutarmi. In tanti hanno operato per riportarmi la mia Hafsa, sicuramente hanno fatto un buon lavoro, ma non sono riusciti a trovarla. (fanpage)

“Spero di essere lì quando il fiume la restituirà”

E a quanti gli fanno notare la pericolosità della sua ricerca così risponde:

So nuotare bene e non voglio correre rischi, ma vorrei trovare Hafsa, che magari è incagliata da qualche parte. O magari spero di essere lì quando il fiume la restituirà. Non posso rimanere a casa ad aspettare. (Ibidem)

Ora la Questura di Sondrio ha consigliato al papà di Hasfa di interrompere il suo disperato sforzo perché troppo rischioso e lo ha rassicurato sulla prosecuzione delle ricerche:

Una vicenda straziante che oltre a commuoverci profondamente ci spinge a riflettere sul dramma di quanti, di fronte alla tragedia di perdere un caro, non riescono neppure a piangere sul suo corpo e celebrare un funerale. Esperienza terribile che nei mesi scorsi ha assunto dimensioni impensate a causa dell’epidemia da Covid-19 che ha impedito a molti di entrare in contatto, anche solo visivo, con il corpo del defunto e celebrare degnamente un rito, in assenza del quale si assiste ad una grande difficoltà ad iniziare il processo di elaborazione della perdita. È infatti il funerale con la presenza di un corpo dentro la bara a sancire che il trapasso ha avuto effettivamente luogo; è questo rito universale a fornire il ritmo del processo autoterapeutico del lutto: un percorso di consapevolezza e di senso, religioso o laico, su ciò che è stato e non potrà più tornare, quello che avrebbe potuto essere e quanto potrà comunque continuare ad essere o per il credente certamente sarà. Senza il rito tutto resta sospeso in una dimensione di incredulità e insopportabile paralisi emotiva: ecco perché il papà di Hafsa vuole continuare disperatamente a cercare il corpo della figlia a costo della sua stessa vita.


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