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In Paradiso ci andremo tutti? Le risposte di alcuni grandi santi

Tintoretto, Il Paradiso

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Marzena Wilkanowicz-Devoud - pubblicato il 17/09/20
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Non è facile immaginare il Paradiso, né parlarne: spesso si preferisce evocare il Cielo, più accessibile (o perlomeno visibile). Ma come concepire questa vita eterna nella gloria di Cristo? Che significa “vivere in Cielo”? Se Fabrizio De André diceva che «l’inferno esiste solo per chi ne ha paura», noi siamo andati a indagare le opinioni di alcuni grandi santi.La nozione di “Paradiso” resta essenzialmente teologica. Questo spiega forse perché preferiamo parlare di “Cielo” o di “vita eterna”. «Vivere in Cielo significa vivere con Cristo», ricorda infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica fondandosi sulle parole evangeliche:

Questa è la vita eterna, che conoscano te, unico vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo.

Gv 17,3

In realtà la parola “paradiso” proviene dal greco paradeisos e significa “giardino”. In senso teologico pieno e forte non appare che tre volte nella Bibbia, esclusivamente nel Nuovo Testamento. Così nel Vangelo secondo Luca Gesù crocifisso promette al buon ladrone che quello stesso sarà con lui «in Paradiso» (Lc 23,43). Nella seconda Lettera ai Corinzi, san Paolo si descrive come «rapito in Paradiso». È lì che avrebbe sentito «parole ineffabili, che la lingua umana non può ridire» (2Cor 12,4). In ultimo, nell’Apocalisse si promette a colui che combatte per Cristo che gusterà il frutto dell’albero della vita, che sta «nel paradiso di Dio» (Apoc 2,7).


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Come possiamo fare, dunque, per comprendere oggi il Paradiso secondo i nostri criterî? Nel suo saggio Le paradis à la porte : essai sur une joie qui dérange (pubblicato in italiano da Lindau), il filosofo Fabrice Hadjadj invita a immaginare il Paradiso non

come una piatta eternità senza dramma né passioni, ma come una gioia esigente e dolorosa data dall’essere presenti a tutti e dal sapersi investiti di un Amore infinito.

Secondo lui, questa vita eterna non è per tutti: anche se Dio vuole che tutti ci vadano, non accederanno al Paradiso se non quanti si lasciano “scomodare” dalla gioia. Il gusto del paradiso è il sapore di questa gioia, qui e ora. L’autore conclude con queste parole: andare in Paradiso è «passare dalla notte della fede alla visione della gloria!».

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]