La malattia mentale non significa mancanza di santità, come attesta ampiamente la vita di questi santiLa malattia è praticamente da sempre circondata dallo stigma, soprattutto tra quei cristiani che insistono sul fatto che la depressione sia un segno di mancanza di fede piuttosto che il risultato di una malattia mentale, condizioni fisiologiche o traumi del passato. Alcuni considerano in particolare il suicidio un peccato irrimediabile, un atto finale di disperazione. Queste convinzioni sono sia false che pericolose, e fanno sì che chi soffre rifiuti il trattamento necessario o nasconda addirittura le proprie lotte, vergognandosi del fatto che possano essere indice di debolezza.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ribadisce che la vita non è a nostra disposizione e che il suicidio è “gravemente contrario al giusto amore di sé”, ma afferma anche che “gravi disturbi psichici, l’angoscia o il timore grave della prova, della sofferenza o della tortura possono attenuare la responsabilità del suicida” (paragrafo 2282) e spiega che la Chiesa prega per chi si è tolto la vita, sapendo che la misericordia di Dio è infinita.
Per sottolineare la verità per la quale la malattia mentale non è un segno di debolezza spirituale, la Chiesa ha numerosi santi che hanno convissuto con malattie mentali, che sono andati in terapia e hanno assunto farmaci, e perfino santi che hanno lottato contro i pensieri suicidi. Alcuni (come Santa Elizabeth Ann Seton) sono stati tentati di suicidarsi molto prima della loro conversione e in seguito hanno trovato la guarigione, altri (come Sant’Ignazio di Loyola) hanno scoperto che la loro salute mentale è peggiorata dopo la conversione. Nel caso di Ignazio, gli scrupoli lo convinsero che non ci fosse speranza per lui, e solo la paura di offendere Dio gli ha impedito di gettarsi da una finestra. Altri ancora (come Santa Maria Maddalena de’ Pazzi) ha combattuto per anni contro il desiderio di porre fine alla propria vita. Questi santi ci ricordano che la malattia mentale non è il risultato di una vita di preghiera inadeguata o del fallimento nel confidare in Dio, e che la disperazione non è un peccato quando è il risulato di una malattia mentale (o una tentazione contro la quale lottiamo con vigore).
Il venerabile François Marie Paul Libermann (1804-1852) crebbe in una famiglia ebrea ortodossa, e si pensava che avrebbe seguito le orme del padre diventando rabbino capo di Saverne, in Francia. Quando divenne cattolico da giovane adulto, suo padre lo pianse come se fosse morto. Timido e sensibile fin dall’infanzia, François iniziò una volta cresciuto ad essere schiavo dell’ansia, soprattutto per via dell’epilessia che impedì la sua ordinazione per 15 anni. L’aspetto peggiore di tutti erano le sue idee suicide, che rendevano ogni attraversamento di un ponte una prova terribile, mentre lottava contro l’inclinazione a buttarsi giù (un impulso spesso sperimentato dalle persone con disordini ossessivi-compulsivi e da chi lotta contro la depressione).
François continuò ad aggrapparsi a Gesù, ma quando guarì finalmente dall’epilessia continuò ad essere tentato dal suicidio, anche una volta diventato sacerdote, fondatore di un ordine religioso e ricercato direttore spirituale la cui sofferenza lo dotava di una profonda empatia nei confronti degli altri. I ponti erano una fonte costante di preoccupazione e non teneva mai vicino un coltello, temendo che nei momenti di massima debolezza potesse non riuscire a resistere. Nonostante tutto questo Dio lo ha reso santo, un uomo in grado di tener viva la speranza malgrado la tentazione costante di disperare.
Il beato Bartolo Longo (1841-1926) crebbe recitando il Rosario ma voleva vivere pienamente la vita universitaria, che all’epoca significava essere anticlericali, atei e fondamentalmente amanti dell’occulto. Venne “ordinato” sacerdote di Satana. Attraverso l’intercessione del padre defunto, Bartolo tornò poi a Dio. Si sentiva tuttavia indegno di misericordia, certo di essere costantemente deturpato dal peccato, ancora consacrato a Satana e destinato all’Inferno. Ripensando a quel periodo scrisse in seguito: “Mentre riflettevo sulla mia condizione, ho sperimentato un profondo senso di disperazione e ho quasi commesso il suicidio”. In quel momento, Bartolo sentì la Madonna dirgli che la sua vita per il Paradiso passava attraverso il fatto di insegnare agli altri a recitare il Rosario. Questa missione gli diede speranza in un momento di disperazione, e per più di 50 anni Bartolo predicò il Rosario, fondò scuole per i poveri e istituì orfanotrofi per i figli dei criminali.
La beata Benedetta Bianchi Porro (1936-1964) iniziò a perdere l’udito quando studiava Medicina, ma i dottori pensavano che si trattasse di un disturbo psicosomatico. Fu Benedetta stessa a diagnosticarsi la malattia di von Recklinghausen, una condizione neurologica che alla fine l’avrebbe privata di tutti e cinque i sensi e l’avrebbe lasciata paralizzata, in grado di muovere solo una mano. La sua sofferenza la gettò quasi nella disperazione, portandola a scrivere a un’amica (dal suo appartamento al settimo piano) “Ci sono volte in cui vorrei buttarmi dalla finestra”. Era tuttavia sostenuta da una comunità che conosceva il valore della sua vita, e rafforzata dall’amore di Gesù. Alla fine, Benedetta è riuscita a scrivere “Non mi manca la speranza. So che alla fine della strada Gesù mi aspetta. Le mie giornate non sono facili; sono dure ma dolci, perché Gesù è con me”.
La Serva di Dio Dorothy Day (1897-1980) è stata una madre single il cui “Sì” radicale a Dio ha cambiato la vita (e l’eternità) di migliaia di persone. Nella sua autobiografia, Dorothy afferma che da giovane i vari partner sessuali, l’aborto e i tentativi di suicidio erano stati una prova dell’anelito frustrato del suo cuore per Dio. Dopo la nascita della figlia, Dorothy iniziò ad andare a Messa e decise di far battezzare la bambina, cosa che alla fine la portò alla separazione dal convivente. Dorothy iniziò a vedere il servizio nei confronti dei poveri come un servizio a Cristo. Con Peter Maurin fondò il movimento dei Catholic Worker (Lavoratori Cattolici), pubblicò un quotidiano, si batté per i diritti dei lavoratori e visse in comunione con i poveri. Decisa attivista, venne arrestata varie volte e perfino ferita per la sua opera contro la guerra e l’oppressione. Trovava la forza nella Messa quotidiana e nell’impegno nei confronti della preghiera contemplativa.