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Perché alcuni sacerdoti si suicidano?

PRIEST

Paul Ratje | AFP

padre Deivide Marcklai Rocha Cerqueira - pubblicato il 11/09/20

Caro Popolo di Dio, quanto è facile scandalizzarci davanti ai minimi fallimenti dei nostri sacerdoti! Vi chiedo sinceramente di amarli di più

Il 10 settembre è stata la Giornata Mondiale della Prevenzione del Suicidio, e di recente ci siamo trovati davanti alla notizia di due sacerdoti francesi che si sono tolti la vita. Triste realtà che ci circonda e che può verificarsi in qualsiasi momento dove meno ce lo aspettiamo.

Durante il mio master ho scritto sul tema “Sacerdozio: dall’incanto al suicidio”. L’argomento è nato a seguito dell’ansia che mi ha provocato la notizia dei 17 sacerdoti che tra il 2017 il 2018 si sono tolti la vita in Brasile.

Chi segue totalmente Gesù senza riserve non si pente mai. Chi è stato chiamato al sacerdozio (in generale è così), il giorno dell’ordinazione non riesce a contenere la sua gioia. È il culmine di una tappa della propria vocazione. Ora si sente disposto a vivere la pastorale, a donarsi nella realtà viva della parrocchia alle persone che gli saranno affidate, sviluppando il ministero che Cristo gli ha donato.

Gesù è sempre fedele, ma purtroppo nelle vie umane le tentazioni sono innumerevoli, e a un certo punto chiunque può iniziare a perdere il vero senso della chiamata e la risposta vocazionale.

Chi ha accettato di seguire questa chiamata ed è rimasto incantato da Gesù può, negli anni di formazione, sperimentare continuamente il sogno dell’ideale: la spiritualità ideale, la parrocchia ideale, i fedeli ideali, il clero ideale, e di fronte alla realtà che oscilla tra lo spirituale e il quotidiano nota le differenze tra quello che sognava e la realtà presente.


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Molte volte, durante il suo ministero, il giovane che ha accettato di seguire Gesù con tanto entusiasmo si vede frustrato per l’impossibilità di realizzare i progetti che aveva. C’è anche la possibilità di frustrarsi per le opzioni pastorali della diocesi, per la mancanza di fraternità con il suo clero o anche una possibile mancanza di paternità da parte del vescovo o del superiore. Sorge qui la difficoltà di comprendere che l’unicità dell’essere umano passa per la comprensione del grande paradosso dell’essere al contempo carnali e spirituali.

Rendendosi conto di questa dicotomia, la lista dei problemi può diventare incommensurabile: il sacerdote si vede inondato da una continua stanchezza fisica e psicologica, e può iniziare a sviluppare freddezza nei confronti del ministero che prima esercitava con tanto zelo.

In un’intervista al vescovo di Troyes, Marc Stenger, il presule ha affermato che quando ha sentito la notizia del suicidio dei sacerdoti francesi si è chiesto “Cosa non ho fatto? Abbiamo ascoltato il loro grido? (…) Il che porta alla domanda successiva: siamo forse così preoccupati per i problemi dell’amministrazione della Chiesa da non prestare sufficiente attenzione alla gente?”

A seguito delle sue domande, vorrei riflettere su tre punti con voi: il primo è indirizzato più direttamente ai vescovi, il secondo ai sacerdoti e il terzo al Popolo di Dio.

Cari Vescovi, dobbiamo innanzitutto ricordare che chi si suicida non vuole suicidarsi, ma solo uccidere il dolore che lo asfissia, ma di fronte all’impossibilità di uccidere quel dolore, non trovando alternative, si toglie la vita, risolvendo in modo definitivo quello che sarebbe un problema temporaneo.

Prima di fare questo, però, ha sicuramente chiesto aiuto! Ha dato degli indizi, ed è molto probabile, signor vescovo, che chiunque sia stato accanto a lui non abbia saputo comprendere quei segnali, e che quei sacerdoti abbiano trovato nel suicidio l’unico modo di disfarsi di quello che li stava uccidendo a poco a poco dentro.

Per questo, bisogna ricordare un aspetto fondamentale che purtroppo nel corso dei miei studi ho verificato come lamentela di molti sacerdoti: i sacerdoti non possono sentirsi bambini, gran parte delle volte vengono trattati come impiegati del Sacro. E qui credo che abbiamo risposto alla seconda domanda del vescovo. Tante volte l’amministrazione ha contato più della vita delle persone!


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Il giorno dell’ordinazione sacerdotale, sono bellissime le parole con cui la Chiesa ci invita a rivolgerci al vescovo per la scelta del candidato: “Reverendissimo Padre, la Santa Madre Chiesa chiede che questo nostro Fratello sia ordinato Sacerdote”. Miei cari amici, la Chiesa esorta a chiamare il vescovo Padre, non amministratore o cose del genere! Per questo, la prima cosa che i sacerdoti si aspettano dai loro vescovi è la paternità!

Quante volte negli ultimi tempi avete chiamato i sacerdoti della vostra diocesi e avete chiesto loro come stavano? Credo che non ci sia niente di più bello per un sacerdote che ricevere una chiamata o una visita del suo vescovo, e prima di sentirlo chiedere come vanno le finanze della parrocchia sentirlo chiedere sinceramente “Figlio mio, come stai? Hai pregato? Com’è la tua salute? Hai mangiato bene? Come va con il Popolo di Dio che ti è stato affidato? E la pastorale?” E solo dopo parlare di finanze…

Triste, ma reale. Questa è la situazione di gran parte del clero, che ha bisogno non solo di essere pastore di anime, ma anche imprenditore. Si vede costretto a produrre numeri. Cari amici, i vostri sacerdoti non hanno lasciato la propria casa per diventare amministratori, ma per essere pastori di anime. Al numero 1592 del Catechismo si legge: “II ministri ordinati esercitano il loro servizio presso il popolo di Dio attraverso l’insegnamento (munus docendi), il culto divino (munus liturgicum) e il governo pastorale (munus regendi)”. Per questo, amministrare le finanze è un’altra cosa che fanno, e non dev’essere al primo posto nella dimensione di vita di un sacerdote.

Cari Fratelli Sacerdoti, è molto facile dare la colpa ai superiori ed eliminare la nostra o pretendere di non averne una parte. In quest’anno in cui la campagna di fraternità ci ha presentato il tema “Lo vide, ne ebbe pietà e lo curò” (Lc 10, 33-34), siamo chiamati a chiederci “Chi è il mio prossimo?”

Molti si chiedono sicuramente come sia possibile analizzare i casi di suicidio sacerdotale, visto che i sacerdoti devono avere una maggiore consapevolezza dell’atto suicida e delle conseguenze del fatto di togliersi la vita. Da questo sorgono numerosi commenti e giudizi.

Siamo tutti invitati a ricordare che nessuno ha il diritto di condannare il fatto che qualcuno si sia suicidato, anche perché chi lo ha fatto può pensare di aver fatto la cosa giusta, pensando che il suo atto sia stato corretto, forse perché attraversava una situazione di estrema angoscia morale e solo Dio può conoscere e comprendere ciò che c’era nel cuore di chi lo commetteva.

Nelle nostre realtà sacerdotali, dobbiamo essere più attenti a noi stessi e ai nostri fratelli. Ci è stata affidata anche la missione di prenderci cura degli altri, e chi è il mio prossimo? Un dottore della legge ha chiesto una volta di mettere alla prova Gesù (cfr. Lc 10, 29-37). Oggi siamo chiamati a tornare alle pagine evangeliche e a chiederci “Chi è il mio prossimo?”

Nel nostro ministero siamo chiamati ogni giorno a vivere la dinamica del buon samaritano. A viverla con la nostra gente, ma in particolare con i nostri fratelli nel ministero.


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Quanti fratelli abbandonati, che non trovano sostegno e sono condannati alla solitudine del loro ministero! Molto spesso circondati da gente, ma totalmente soli nel loro mondo di angosce e ansie sacerdotali.

Siamo più chiamati che mai ad essere umani, a riconoscere le nostre necessità reali e ad accettare quelle dei nostri fratelli. Dobbiamo lasciare i nostri mondi vuoti e camminare con l’altro che è tanto diverso, rendendoci conto che nonostante tutto è lui il mio prossimo di cui Gesù parla tanto nei Vangeli.

In un mondo tanto vuoto, con un’enorme perdita di senso e rapporti effimeri, come posso dare un senso alla mia vita? Sembra facile, ma sappiamo che non lo è. Bisogna vivere la dimensione dell’unione sacerdotale, vivere e lottare per ideali comuni.

Quanto tempo dovremo lamentare la perdita di fratelli che si sono tolti la vita? Che senso ha aspettare che il prossimo si uccida per poter iniziare a piangere e a pentirci mentre in una bella e dolorosa processione portiamo il suo feretro al cimitero, nutrito di domande, di immensi perché a cui forse non si risponderà mai?

È arrivato il momento di ripensare alla nostra vita e di chiederci “Qual è il senso della mia esistenza? Dove e come posso riscoprire il senso di vivere? Come posso aiutare il mio vicino che ha perso il senso della vita?”


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Caro Popolo di Dio, quanto è facile scandalizzarci davanti ai minimi fallimenti dei nostri sacerdoti! Vi chiedo sinceramente: amate di più i vostri sacerdoti, pregate per loro, e anziché giudicarli provate a comprenderli.

I sacerdoti non sono angeli, non sono solo esseri spirituali. Hanno bisogno di sperimentare affetto, accoglienza e compagnia. Né troppo né troppo poco, tutto nella misura adeguata. A volte basta un benvenuto veramente umano.

Fratelli, svegliamoci tutti il prima possibile e guardiamo con gli occhi del cuore, con gli occhi della fede, l’amore libero e la misericordia nei confronti di chi ci circonda. Siamo sensibili al grido silenzioso di quanti sono spesso al nostro fianco ma che la nostra insensibilità non ci fa percepire. Bisogna aiutarsi a vicenda prima che sia troppo tardi.

È estremamente importante essere più umani e trovare il senso della nostra vita, umanizzandoci sempre più come il vero umano per eccellenza, Gesù, che ha pianto sentendo della morte del suo amico Lazzaro e lo ha risuscitato (cfr. Gv 11,35).

Non abbiamo il potere di risuscitare nessuno che sia morto fisicamente, ma abbiamo senz’altro il potere di risuscitare con il nostro amore sincero tanti cuori che vivono ancora a livello fisico ma sono morti perché hanno perso il senso della vita, che vivono come se già non esistessero più.

Piangiamo con chi piange e rallegriamoci con chi gioisce (cfr. Rm 12, 15). La nostra vita sia un profumo gradevole che riesca, accanto ai nostri fratelli più bisognosi, a riscoprire il senso dell’esistenza. È aiutando gli altri a trovare il significato della loro vita che troveremo il vero significato della nostra.

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