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L’immaginifico linguaggio dei Padri del monachesimo: la preghiera del cuore (5/6)

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Mathilde De Robien - pubblicato il 02/09/20

Benché ritirati dal mondo, i progenitori della vita monastica cristiana hanno trasmesso i loro insegnamenti attraverso numerosi discepoli che andavano a rendere loro visita: ne sono risultate delle memorabili raccolte di aneddoti e di apoftegmi. La loro strategia comunicativa? Impiegare un linguaggio assai evocativo sul piano dell’immaginazione: cosa che rende il loro messaggio accessibile e tuttora attualissimo.

Bisogna che il vero monaco abbia incessantemente la preghiera e la salmodia nel cuore.

Così leggiamo negli Apoftegmi. Per i Padri del deserto, il cuore ha un posto primordiale. Esso è il contro del nostro essere, il luogo in cui Dio ci visita, dove abita Cristo.

Interpellati dall’esortazione di Cristo a “pregare senza scoraggiarsi” (Lc 18,1), ripresa da san Paolo che invita a “pregare incessantemente” (1Tess 5,17) , i Padri del deserto hanno introdotto il tema e poi la tecnica della “preghiera del cuore”. Si tratta di una preghiera recitata al ritmo della propria respirazione. Gregorio di Nazianzo diceva anzi che «bisogna ricordarsi di Dio più di quanto si respiri».




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Che dire? Giovanni Cassiano predilige questa giaculatoria responsoriale: «O Dio, vieni a salvarmi / Signore, vieni presto in mio aiuto» (presto entrata nella Liturgia delle Ore), in quanto vi si «esprimono tutti i sentimenti», «adattandosi [essa] a tutti gli stati, e convenendo a ogni sorta di tentazione». Prosegue:

Vi si trova l’appello a Dio contro tutti i pericoli, un’umile e pia confessione, la vigilanza di un’anima sempre in veglia e penetrata di continuo timore, la considerazione della nostra fragilità; essa dice pure la fiducia di essere esauditi e l’assicurazione di un soccorso sempre e ovunque presente.

Preghiera e azione

Bisogna pregare incessantemente, a detrimento di ogni attività? Origene, anche prima dei Padri del deserto, aveva dato un elemento di risposta. Nel suo trattato Sulla preghiera egli spiegava che

prega incessantemente colui che lega la preghiera all’azione e l’azione alla preghiera: è l’unico modo per pregare incessantemente; cosa che ci porta a considerare tutta la vita del santo come una lunga e ininterrotta preghiera.

Marie-Anne Vannier, in Prier 15 jours avec les Pères du désert (Nouvelle Cité), osserva a proposito di questi ultimi che «è tutta la loro vita ad essere preghiera, ovunque essi siano e qualunque cosa facciano».




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Mediante la preghiera continua essi hanno mostrato

fino a che punto sia un’attitudine, un dono e una scelta esistenziale, l’essere costantemente alla presenza di Dio, lasciarsi abitare da lui.

In tal modo si giunge a poter dire, con san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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