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4 fratelli infermieri in visita da Papa Francesco

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Raffaele, Stefania, Valerio e Maria Mautone

Lucandrea Massaro - pubblicato il 02/09/20

Figli d'arte, papà è stato infermiere per 40 anni, i quattro lavorano in giro per l'Italia e sono stati in prima linea durante l'emergenza Covid.

Si chiamano Raffaele, Stefania, Valerio e Maria Mautone, sono originari di Napoli, ma solo Stefania (38 anni), è rimasta in città. Raffaele (il maggiore, 46 anni), opera a Lugano in Svizzera. Valerio, 43 anni, e Maria, 36 anni, invece a Como, ma tutti e quattro sono figli d’arte: il papà Giorgio per 40 anni ha esercitato la stessa professione. Una vocazione di famiglia dunque, che durante la fase più acuta del Covid si è trasformata in una missione.

«Siamo emozionati. Mia sorella voleva che indossassimo i camici di lavoro ma io le ho detto ’no, dai, una volta che andiamo dal Papa portiamoglieli in dono’». Spiega raggiante Raffaele Mautone, che Venerdì sarà a Roma, in Vaticano al giornale svizzero La Regione. Una udienza privata nell’anno internazionale degli infermieri, un segno e un sogno per questi quattro fratelli che si ritroveranno a breve insieme, di fronte a Francesco.

«Mio fratello – continua Raffaele – è già partito a piedi, si trova a 20 chilometri da Viterbo. Io ho intenzione di raggiungerlo per percorrere con lui gli ultimi quaranta, cinquanta chilometri, purtroppo non sono riuscito a conciliare il tutto con le ferie e sono stato costretto a ritardare questo cammino che ho tanto desiderato. Fra fratelli e familiari saremo in totale tredici. Portiamo mogli, mariti, figli. Il prefetto della Santa Sede, Leonardo Sapienza, mi ha detto che il pontefice ci vuole abbracciare tutti. Il particolare che ci rallegra ancora di più è il fatto che non saremo nella grande Sala Nervi ma all’interno degli spazi privati papali».


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I mesi più duri

«Fino all’8 di marzo lavoravo nel blocco operatorio e su base volontaria ho scelto di trasferirmi nel reparto di Rianimazione Covid – spiega Valerio, che lavora a Como con la sorella Maria  – un impegno difficile sia dal punto di vista professionale ma anche umano e psicologico».

Un periodo decisamente complesso sotto tutti i punti di vista quello che ha dovuto affrontare Valerio ma che ha lasciato spazio anche a grandi gesti di solidarietà, difficili da dimenticare. «La sera i ristoranti, pizzerie, cinesi e giapponesi, ci portavano da mangiare per farci sentire la loro vicinanza e gratitudine – continua Valerio – in quel momento abbiamo capito che non eravamo soli e questo ci ha dato una grandissima forza» (Comocity.it)

L’insegnamento di mamma e papà

Fino al 2012 anche Stefania ha lavorato a Como, racconta a Famiglia Cristiana, «Poi ho scelto di mettere a frutto la professionalità imparata al Nord tornando a Napoli: se tutti quelli che credono nel rispetto delle regole se ne vanno questa città non si riscatterà mai. Lavoro in una clinica di Vincenziane, mi occupo dei sette letti destinati ai pazienti con sospetto di Covid, nella fase in cui attendono la diagnosi, se sono positivi li mandiamo al Cotugno. Sul lavoro i colleghi», spiega sorridente «mi chiamano il “generale”, per il rigore, ma credo che sia giusto così. Fuori dal lavoro faccio parte della Onlus che si occupa di ragazzi disagiati e donne maltrattate in due sedi confiscate alla Camorra: nel ritorno ha inciso quella frase del sacerdote che mi ha detto mentre partivo: “Napoli ha ancora bisogno di te”».

C’è sicuramente un forte imprinting in questi quattro fratelli che dal papà hanno appreso il mestiere, ma dalla mamma, sarta che oggi cuce, mascherine per il quartiere, che hanno ricevuto i sani principi e l’idea che un lavoro di cura dà senso alla vita.

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