Mattia Maestri è il primo paziente ad essere tracciato per la malattia da Covid-19 in Italia; ha perso il papà a causa del coronavirus, ma ha potuto riabbracciare la moglie Valentina e la piccola Giulia, nata in pieno lockdown e simbolo della forza della vita.
“Noi che abbiamo avuto la forza di ripartire… voi clienti e amici che ci siete stati vicini in questi mesi. A voi il nostro grazie e… Viva l’Italia!”. Firmato Mattia, Valentina e Giulia.
Una foto in un concorso di allestimento vetrine in un paese di provincia. Ma la notizia c’è davvero!
Di per sé è una cosa da poco, un semplice concorso per le vetrine meglio allestite dentro una festa che insieme alla tradizione porta con sè dello scontento, proprio perché la tradizione della sagra è sotto attacco, forse da prima dell’emergenza Covid.
La festa nasce intorno alla memoria liturgica di San Bartolomeo, patrono di Casalpusterlengo. Probabilmente il suo legame con il Santo era già lasco, come in tante realtà di paese, dove i santi vengono gabbati ben prima che passi la festa. Così leggiamo su Il Giorno, pagine locali:
La sagra di San Bartolomeo ormai non esiste quasi più, smontata pezzo a pezzo da decisioni dell’amministrazione comunale del sindaco Andrea Delmiglio che ogni giorno arrivano come una “tagliola“ sul calendario degli eventi. “Considerata la complessità del momento, vista la situazione emergenziale in continuo mutamento, in condivisione con la Pro loco e le associazioni che ci supportano nell’organizzazione si comunica la definitiva programmazione degli eventi della Sagra di San Bartolomeo”, si leggeva ieri in una nota del Comune. In pratica, dopo il no ai fuochi d’artificio, alla distribuzione della torta di Casale e al lunapark (che ha mandato su tutte le furie gli operatori che avevano già installato le giostre in centro), è stata rinviata a data da destinarsi anche la premiazione delle associazioni di volontariato, oltre al concerto della banda Orsomando. Azzerato pure il tombolone.
Restano confermate le selezioni regionali di Miss Intercontinental in piazza del Popolo per questa sera, il concorso delle vetrine, lo spettacolo con Paolo Ruffini domani sera e il concerto di Serafino Tedesi sabato.
Sono Mattia, il paziente uno: cosa ha significato per la sua storia e per la nostra
Mattia ci ha messo un po’ a scoprire di essere il paziente numero uno di una serie così numerosa; a sapere che mentre lui lottava in terapia intensiva l’Italia intera veniva travolta.
Ricoverato il 20 febbraio a Codogno dove tornava per la seconda volta in pochi giorni inizia la sequenza di incontri che gli salveranno la vita.
«Ho scoperto di essere il paziente 1 solo una volta che ho preso in mano il mio smartphone – ripercorre -. È lì che ho capito cosa fosse successo. Fino ad allora sapevo solo che ero stato ricoverato per una polmonite. Ma confesso che non mi pesa essere chiamato paziente 1. Sono solo il paziente che è stato certificato per primo». «Solo quando mi sono svegliato mi hanno raccontato cosa c’era in giro, cosa stava succedendo e neppure nel dettaglio» ricorda. (Cosenza Gazzetta)
Dalla sua caduta lui si è rialzato più forte e riconoscente di prima; ma con lui sono stati colpiti anche il papà, la mamma, la moglie. Suo padre è morto proprio a causa del virus. La mamma e la moglie ce l’hanno fatta e Valentina ha anche partorito la loro prima figlia. Ogni nascita ha una sua epica e così sarà per la piccola Giulia, che forse in più di altri leggerà su ritagli di giornale e link salvati con quanta trepidazione fosse atteso il suo arrivo.
La prova attraversata: dolore e gioia, perdite e incontri
«La mia malattia, la mia guarigione, il fatto che sia mia madre che mio padre che Valentina si siano ammalati, mia madre e Valentina sono guarite, mio papà non ce l’ha fatta. E poi la nascita di Giulia, tutto concentrato in un mese e mezzo scarso, è una cosa da film, forse anche di più di un film». (Ibidem)
Mattia è sicuro che alla sua bambina racconterà di un uomo che per lui è un secondo papà:
«innanzitutto il dottor Raffaele Bruno (infettivologo cosentino, ndr), il mio nuovo papà. Io ho perso il mio per questa malattia ma Bruno che mi ha salvato lo considero così. E poi la dottoressa Annalisa Malara (anestesista di origini reggine, ndr). È stato grazie al suo intuito e al suo coraggio che è stato scoperto il coronavirus», conclude l’ex paziente 1. (Ibidem)