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Il segreto di una speranza che non delude

Cardinal Carlo Caffarra

© ALBERTO PIZZOLI / AFP

Il Timone - pubblicato il 31/08/20

Di fronte all’epidemia di Coronavirus, pubblichiamo un’omelia del cardinale Carlo Caffarra (1938 – 2017) in occasione della giornata del malato 1999, pronunciata nella Concattedrale di Comacchio

“E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”. Carissimi fratelli e sorelle, questa parola di Dio ci dona la certezza che la sofferenza umana sarà interamente soppressa. La fede cristiana è certezza che ogni dolore umano scomparirà.

La medesima Parola ci rivela anche la ragione di tutto questo: “ecco la dimora di Dio con gli uomini. Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed Egli sarà il “Dio-con-loro”. La presenza di Dio, la sua alleanza con l’uomo è il fatto che tergerà ogni lacrima dagli occhi umani, che eliminerà la morte, il lutto, il lamento, l’affanno. Anche l’apostolo Paolo parla di questo avvenimento scrivendo ai cristiani di Corinto: “come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo … perché Dio sia tutto in tutti” [1Cor 15,22-28c]. “Dimora di Dio con gli uomini” – “Dio tutto in tutto”: quando questo accadrà in forma completa il dolore umano sarà scomparso.

Certamente è possibile ritenere che questa speranza causata in noi dalla parola di Dio sia vuota, non abbia alcun fondamento. Tuttavia senza essa non si comprende il vero significato della nostra sofferenza, delle nostre malattie, alla fine della nostra morte. I nostri dolori hanno un senso solo se è certo che essi finiranno; che essi saranno soppressi. Non il dolore di qualche persona: ogni dolore di ogni persona umana. Ogni persona umana deve poter dire: “le cose di prima sono passate”. Deve esserci un momento in cui ogni sofferenza di ogni persona umana appartenga al passato. Ed è questo che oggi ci dice la parola di Dio: “e tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno”.

“Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: non hanno più vino”. Carissimi fratelli e sorelle, la pagina del Vangelo ci dona ulteriore luce sul senso della nostra sofferenza.

Gesù risponde alle parole di Maria: “che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. L’ora di cui parla Gesù indica il momento nel quale Egli compirà la sua opera di salvezza. La risposta sembra un netto rifiuto; ciononostante Maria si rivolge ai servi e dice loro: “fate quello che egli vi dirà”. Allora Gesù ordina ai servi di riempire di acqua le giare, e l’acqua diventa vino, migliore di quello servito prima.

Quale profondo insegnamento è racchiuso in questa pagina evangelica! Essa ci rivela la maternità di Maria nei nostri confronti, ossia la sua sollecitudine per noi. Quanto ella ha fatto a Cana ha un valore simbolico: la sollecitudine materna di Maria consiste nell’introdurre l’uomo nel raggio, nell’ambito della potenza redentiva di Cristo. Ella si preoccupa che l’uomo possa bere il vino nuovo; possa cioè ricevere il dono della consolazione dello Spirito Santo.

Maria si pone come in mezzo tra il suo Figlio e le persone umane che “non hanno più vino”: provate dal lutto, dagli affanni, dal dolore. Si pone in mezzo per far presente al Figlio il bisogno dell’uomo di essere sostenuto nella fatica delle privazioni di cui soffre: privazione della salute, privazione della compagnia, privazione del senso. La mediazione di Maria è una mediazione di intercessione.

Carissimi fratelli e sorelle, non a caso ogni santuario mariano è la dimora di ogni sofferente. È Maria che ci introduce in quella prospettiva di fede apertaci e svelataci nella prima lettura, poiché è Lei che chiede per noi al Figlio di donarci il “vino nuovo” della speranza. E se non sempre è la liberazione dalla malattia che riceviamo, è la consolazione dello spirito che sempre ci viene donata.

Allora, carissimi fratelli e sorelle, sostenuti dalla forza dei sacramenti divini che ci fanno già pregustare il giorno della beatitudine, riprendiamo il cammino con Maria nostra madre, sicuri che con lei non ci smarriremo.

L’esperienza del dolore sembra essere una contestazione molto forte alle parole che abbiamo udito. Ma il Signore è la nostra forza, la garanzia della nostra speranza. Non ci si arrende al dolore, ma al Signore che ci è vicino: “fate tutto quello che egli vi dirà”, ci dice Maria. Questo abbandono è il segreto di una speranza che non delude.

Qui l’articolo pubblicato da Il Timone

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