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Funzioni religiose on line: salvezza e dannazione della fede odierna

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Silvia Costantini - pubblicato il 28/08/20
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Il professor Luigino Bruni analizza gli interrogativi aperti dallo studio Lumsa-Sec sulle funzioni religiose on line in Italia e negli Stati Uniti.L’offerta delle funzioni religiose virtuali, on line e in televisione, dalle messe ai rosari, a momenti di raccoglimento spirituale in diretta sui social network, è stata protagonista nella fase del lock down, dovuta alla diffusione del virus Covid-19. 

Oggi, nella Fase 3 della crisi pandemica, tra paura di nuove chiusure e il desiderio di ricominciare una vita normale, compresa quella comunitaria, parrocchiale… ci si interroga su quale sia la strada da privilegiare e le possibili ricadute nel modo di vivere la propria fede.

L’università Lumsa e la Scuola di Economia Civile (Sec), hanno realizzato proprio durante la fase di chiusura totale un’indagine dal titolo “Culto e spiritualità online ai tempi del distanziamento fisico”, con l’obiettivo tentare di capire questo nuovo fenomeno. 

Hanno partecipato allo studio Alessandra Smerilli, Dalila Di Rosa, Paolo Santori, Vittorio Pelligra, Matteo Rizzolli, Tommaso Reggiani, e Luigino Bruni.

Ne abbiamo parlato con Luigino Bruni, professore ordinario di Economia politica presso l’Università Lumsa di Roma, direttore scientifico dell’evento “The Economy of Francesco”, coordinatore del progetto Economia di Comunione del Movimento dei Focolari, co-fondatore e presidente della Scuola di Economia Civile ed editorialista di Avvenire,  nonché promotore dell’iniziativa.

 

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Sybrig Andringa

–Come nasce lo studio?

–Professor Bruni: Ci siamo trovati, a partire dai primi di marzo, di fronte a quello che gli studiosi di scienze sociali chiamano “l’esperimento ideale”, perché c’era un prima e un dopo e noi ne abbiamo approfittato per capire in particolare come veniva vissuta la fede con i sacerdoti collegati sui social, o le messe on line, in quel momento di chiusura totale.

L’analisi, che ha riguardato un campione statistico per un totale di 2000 persone, divise alla pari tra Italia e Stati Uniti, con un’età media di 47 anni, si è rivolta non solo ai cattolici, ma anche ai protestanti, ebrei e musulmani, mettendo in luce aspetti anche poco prevedibili.

–Tra cattolici, protestanti ed ebrei come è stato vissuto il passaggio delle celebrazioni dall’offline all’online?

–Professor Bruni:  I cattolici hanno sofferto di meno rispetto ai protestanti di questo passaggio.

Questa scoperta ci ha sorpreso perchè il cattolici sono più legati, rispetto ai protestanti, alla dimensione comunitaria della fede, che è anche fisica, del contatto, delle mani… Basti pensare che il sacramento dell’Eucarestia passa per un contatto fisico. 

Allo stesso tempo,  e ci è sembrato un paradosso, sappiamo che il mondo protestante nasce come una critica al mondo della Chiesa, della gerarchia, per mettere in luce l’individuo (sola fide). Ma andando più a fondo, ci siamo resi conto che i protestanti hanno risentito maggiormente delle celebrazioni on line essenzialmente per la mancanza della vita comunitaria, ma non tanto dal punto di vista sacramentale, quanto come aspetto sociale e aggregativo. 

Per gli ebrei non ci sono state particolari differenze tra il culto on line e in Sinagoga. Questo, secondo me,  perchè la religione ebraica è molto astratta: una religione senza immagini, senza statue, senza tempio… Hanno vissuto l’esilio e sono stati abituati ad un’idea di Dio molto più astratta… Questo li ha resi meno sensibili al luogo e al culto, al tempio. 

La loro fede è molto familiare. Basti pensare alla Pasqua, la più importante festa ebraica che avviene in famiglia. Dal lockdown la famiglia è stata rafforzata ed è per questo che gli ebrei hanno risentito di meno di questa transizione offline online.

–Chi è il cattolico “tipo” che è rimasto poco toccato dal cambiamento della celebrazione dalla messa in presenza all’on line?

–Professor Bruni: Un’altra evidenza è che i cattolici che hanno risentito di meno della sostituzione della messa in presenza a quella on line sono coloro che frequentavano poco la chiesa.  Per loro non c’è stata quasi differenza, ed è quello che viene chiamato l’effetto “gnostico”. E’  quello che su cui, a Santa Marta, Papa Francesco  ha richiamato l’attenzione sul  rischio di una fede senza comunità e contatti umani reali. E’ quella eresia dove il corpo non conta niente e la messa diventa una sorta di atto cognitivo mentale non più legata all’incontro. 

Diverso è per chi è invece impegnato con la Chiesa. Se per esempio aggiungiamo tutti i dati delle suore che abbiamo raccolto a parte, qualche centinaio, i cattolici diventano come i protestanti: è cioè, forte la mancanza di non poter vivere le celebrazioni di persona quando alla base c’era un’esperienza forte della pratica religiosa.

Il problema però che emerge è che se, anche ora che è terminata la fase del lockdown, la Chiesa continua a dare ampio spazio alle messe on line, c’è il serio rischio che una parte di cattolici possa continuare a sceglierle perché meno impegnative, in quello che viene definito “costi di attivazione”, con un effetto di non ritorno nelle Chiese. 

–Quale a suo parere, una possibile soluzione per far tornare i fedeli a messa, di persona?

–Professor Bruni:  L’invito è quello di curare maggiormente la dimensione liturgica, perché con messe impoverite le persone non si sentono motivate a partecipare, piuttosto le seguono in televisione. 

La domanda è quindi come la messa possa diventare più coinvolgente, più un bene di esperienza, meno da spettatori. Ancora oggi si dice “vado ad ascoltare, a sentire” la messa, mentre andrebbe “vissuta”.

Ci vorrebbe una riforma liturgica, per cui andare a messa è necessario.

E’ necessaria inoltre una riflessione sul perché il mondo cattolico dia poca importanza alla dimensione comunitaria.  

A livello di scelte istituzionali, se fossi un responsabile della Chiesa cattolica eviterei di aumentare l’offerta  di messe on line, per non rischiare di avere un mondo di “spettatori” di messe, che vorrebbe dire la fine stessa della Chiesa. 

Un dato comunque interessante è che durante il lockdown è emersa una domanda di sacro in televisione anche da parte di chi non andava mai a messa prima.

 

 

I numeri dello studio

→ Numero totale di persone intervistate: 1000 in Italia; 1000 negli Stati Uniti

→ Età media: 47 anni. I giovani, under 35, sono il 20% del campione, mentre gli over 65 sono il 10% del campione. Di fatto noi prendiamo molto la fascia tra 35-65, non a caso la media è intorno al 50%.

→ Il 40% del campione totale (includendo atei, cattolici, protestanti ecc.) da USA e Italia ha riportato un alto livello di soddisfazione per i servizi religiosi in tv e sui social. Non si riscontrano differenze di genere.

→ 1082 numero di coloro che si dichiarano cattolici, tra Italia (402) e Stati Uniti (680).

→ Di 1082, il 40% va regolarmente o assiduamente in chiesa, il 60% no. Di questi, coloro che vanno regolarmente 22% (233) e assiduamente 17% (180) a messa, hanno riportato un alto livello di accordo con l’idea che la messa in tv sia equivalente a quella in presenza.