Fu al suo ritorno a Roma nel 382 che Girolamo ricevette da parte di Papa Damaso, il quale l’aveva ingaggiato come segretario, il compito di tradurre in latino la Bibbia. Nativo della città di Stridone, in una regione corrispondente all’attuale Croazia, Girolamo aveva ricevuto a Roma una solida educazione nelle arti liberali. Beneficiando dei migliori maestri – tra cui il famoso Elio Donato – il giovane dalmata avrebbe rapidamente toccato punte di eccellenza in tutte le austere discipline liberali – grammatica, retorica, filosofia… senza trascurare il greco! Il suo gusto per le lettere superava ogni altra cosa, come ammette egli stesso in questo noto passaggio di una lettera ad Eustochio:
Accidenti a me! Digiunavo e poi leggevo Cicerone: dopo tante notti passate a vegliare, dopo le lacrime che il ricordo dei miei vecchi peccati strappava al profondo del mio cuore, era Plauto che prendevo tra le mani! Se per caso, rinsavendo, mi mettevo a leggere i profeti, il loro stile inelegante mi disgustava. I miei occhi accecati non vedevano più la luce e io accusavo non i miei occhi ma il sole!
Questa formazione avrebbe contribuito certamente a fare di Girolamo un fine letterato, il futuro dottore e padre della Chiesa, che sarebbe stato designato come santo patrono dei librai. Letterato, sì, ma soprattutto traduttore intransigente. Col suo carattere fumantino – che tante dispute e accuse gli sarebbe valso – Girolamo avrebbe votato tutta la sua vita alla traduzione della Bibbia e alla sua esegesi. Per questo sarebbe rimasto immortalato nella storia dell’arte circondato da libri, da un leone e da un (certo anacronistico) cappello cardinalizio.
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Un lavoro di traduzione senza pari
La Vulgata sarebbe nata effettivamente da quell’anima forgiata dagli studi e dall’ascetismo, che Girolamo avrebbe temprato soprattutto nel deserto della Calcide. Egli condusse l’immensa traduzione a partire dai testi originali greci ed ebraici. Forte dei suoi solidi studî e della sua cultura classica, egli comparò la versioni dei Settanta e sottopose a severa critica le traduzioni latine (spesso parziali o addirittura frammentarie) che già circolavano prima della sua opera. Con la Vulgata, Girolamo avrebbe rivisto i quattro Vangeli, il Salterio… e anche tutto l’Antico Testamento direttamente dall’ebraico, che aveva imparato. Da questo immenso lavoro nacque la Bibbia latina che per il seguito sarebbe stata designata col semplice nome di Vulgata (cioè fatta “vulgo”, “per il popolo” donde ancora oggi “divulgazione”), e che poi sarebbe stata canonizzata dal Concilio di Trento nel XVI secolo. Questa traduzione sarebbe dunque diventata il testo autentico della Chiesa latina, e la sua diffusione avrebbe beneficiato massimamente della stampa a caratteri mobili che già da diversi decennî moltiplicava i proprî torchi in Europa: del resto già il primo libro, l’Incunabolo numero 1 realizzato da Johannes Gutenberg nel 1456, era per l’appunto una Vulgata. Numerosissime a succedersi sarebbero state le edizioni, soprattutto quella ordinata da Sisto V e completata da Clemente VIII (che quindi è nota col nome di “sisto-clementina”).