La Bibbia, l’abbiamo visto, nutre un’intima relazione con la sua lingua originaria – l’ebraico. Ora, a partire dal III secolo a.C., una comunità giudaica egiziana di lingua greca avrebbe ciononostante intrapreso una traduzione audace e inedita del testo sacro. Perché tale audacia? La diaspora egiziana, sebbene di origine giudaica, aveva largamente perso la propria lingua originaria (per acculturazione): era dunque importante che i più giovani potessero ascoltare e comprendere nella loro lingua-madre, ormai il greco, i contenuti della Bibbia ebraica.
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Secondo la tradizione, non meno di 70 (72 secondo le fonti) esegeti ed eruditi sarebbero stati chiamati da Gerusalemme ad Alessandria per produrre e proporre la propria traduzione greca, ed elaborare la nuova Bibbia – in greco. Il documento che riporta questa tradizione – la “Lettera di Aristea” – afferma che ciascuno dei saggi avrebbe composto, in separata sede, una traduzione perfettamente identica alle altre, espediente atto a sostenere il carattere ispirato dunque non solo del testo originario ma anche della traduzione.
Questa sarebbe stata in assoluto la prima trasposizione da una lingua all’altra del testo fondatore del monoteismo. Questa Bibbia di lingua greca – corrispondente per i cristiani al solo Antico Testamento – avrebbe preso quindi, in ragione della settantina dei suoi autori, il nome di “Settanta” (“i Settanta”, e non, come pure si legge anche in buoni testi “la Settanta”).
Una “Bibbia aumentata”
Tuttavia, a parte quella comunità giudaica egiziana, il popolo giudaico non avrebbe accettato e non avrebbe ritenuto quella versione greca, specialmente per via dei numerosi libri aggiunti dai traduttori ai testi originarî della Bibbia ebraica. Come si è detto, oltre ai 24 libri del TaNaK, i Settanta inclusero un certo numero di libri non presenti originariamente, diversi dei quali composti direttamente in greco. Essi sono 1 e 2 Maccabei, Siracide, Giuditta, Tobia, ma anche testi come la Sapienza, i Salmi di Salomone, la Preghiera di Manasse eccetera.
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I Settanta si sono poi spinti fino a rivedere l’organizzazione interna del piano della Bibbia, collocando in prima posizione il Pentateuco e i libri storici, poi le fonti sapienziali e poetiche, infine i testi profetici. Il piano interno di ogni libro è stato talvolta oggetto di modifiche, cosa che lascia un’impressione generale molto differente dalla Bibbia ebraica di partenza.
Una Bibbia cristiana destinata all’Occidente
E quindi appare chiaro, leggendo i Settanta, che lo sforzo della traduzione supera il semplice bisogno di abbatte le barriere linguistiche per adattare il testo della Bibbia ad altre culture e spazi geografici. Progressivamente, invece, l’audace Bibbia greca – quella dei Settanta – avrebbe guadagnato piena autonomia rispetto alla “sorella maggiore”, una evoluzione legata alla nascita e allo sviluppo del cristianesimo in quell’epoca, come si evince dai più antichi e completi codici dei Settanta pervenuti fino a noi: il Codex Vaticanus (IV secolo), il Codex Sinaiticus (IV secolo) o ancora il Codex Alexandrinus (V secolo).