Lo ha fatto dopo che ha visto il video postato da nonno Antonio mentre riprendeva il nipote, Genny, che si divertiva a fare il bagno proprio nei pressi di una bella barca. Sotto il post di Giuseppe una cascata di commenti, di ringraziamenti, di condivisioni. Il bene è sempre stato virale, da prima che ci fossero i social.
Il fatto è semplice e consiste in questo: Giuseppe Valrosso, 48 anni, Vigile del fuoco a Bari, vede sui social il video di un ragazzo affetto da autismo che fa il bagno al largo vicino alla corda che tiene ancorata la barca, governata dal nonno. E’ felice, “suona il pianoforte” spiega Antonio che aggiunge quanto il suo ragazzo e altri come lui affetti da disabilità psichica, in particolare per i disturbi dello spettro autistico, si rigenerino con queste piccole esperienze. Ne aveva proprio bisogno, spiega, era a casa in un bagno di sudore e in uno stato di grande irrequietezza. E questa, si sa, si diffonde come un’onda in tutta la famiglia e in chi sta intorno a questi bambini o ragazzi. Non è giusto, a ben pensarci, che un carico tanto grande sia portato da uno o due soli. Perché? I figli sono forse davvero quell’affare privato e autogratificante (se ci va bene) come vuol farci intendere l’opinione dominante? No, la verità è parecchio più vicina a quella del villaggio intero che occorre a tirarne su uno solo; a quella dell’albero con diversi rami, comuni radici, lo stesso sole a garantire fotosintesi e tutto il resto.
In fondo lo sappiamo tutti; ciò che tocca e ferisce uno di noi, tocca e ferisce tutti. Ciò che dà sollievo a uno si spande tipo balsamo di tigre su tutte le nostre membra doloranti (a ben vedere non serviva nemmeno il Covid per capire che ciò che fa male a uno tocca e minaccia tutti; e che ciò che guarisce uno può portare beneficio ad un fratello, ma ok, abbiamo imparato la lezione!). E allora Giuseppe ha fatto bene, anche se non si aspettava quelle duemila condivisioni; e chissà quanti giri sta riuscendo ad offrire, se ha dovuto mettere uno stop, chissà se anche solo per un attimo si sarà detto “chi me l’ha fatto fare?”
Perché lo sa, chi gliel’ha fatto fare. L’ottusa, inarrestabile meccanica del nostro cuore, che si appaga solo così.
Il nonno, nel video all’origine di questa piccola storia, mentre continua a riprendere il suo ragazzone che nuota abilmente e manifesta il suo gradimento, ad un certo punto inizia a nominare un elenco di ragazzi, di bambini, pensa alle loro famiglie, si autoproclama nonno di tutti. E si rivolge anche a Dio, chiede perché, aggiunge che sa che sarà ascoltato. (Ha un che, il suo tono, di sceneggiata napoletana che non guasta)
Non chiede la guarigione, ma un giro in barca.
Ciao Anna, ciao Vincenzo! Quanti ce ne sono di questi ragazzini che vorrebbero stare come Genny su questa barca e poi buttarsi in mare.
Oh, mio Dio, ci sei Tu!
Giuseppe si è sentito interpellato direttamente. Chissà che non abbia inciso anche la sua professione, così orientata al soccorso, a portare aiuto a chi è in pericolo, a chi soprattutto è minacciato dal fuoco o, come in questo caso, solo dal calore eccessivo. Fatto sta che ha subito risposto con generosità:
Regalo a mie spese giro in barca a ragazzi Autistici (RIPETO GRATUITAMENTE ) zona Bari CONDIVIDETE GRZ. (vedi post di FB)
Pochi fronzoli, solo informazioni e rassicurazioni: ho una barca, vi offro un giro gratis, diffondete la notizia.
E sotto il post un profluvio di grazie, di richieste, di manifestazioni d’affetto e gratitudine. Le famiglie che portano certi pesi, spesso anche se non sempre, hanno il cuore più nudo, più ricondotto all’essenziale, più attento alle piccole ma luminose scintille di bene che si accendono intorno a loro. A Giuseppe scrivono singoli genitori e associazioni; qualcuno gli consiglia di togliere il cellulare dai dati visibili perché la rete, si sa, può pure finire per intrappolarci, esponendoci ad un pubblico pressoché illimitato.
Giuseppe ha fatto la sua parte e si è meritato diverse pagine sui quotidiani (qui e qui, per esempio). Siamo sempre a caccia di storie, noi qui da questa parte dello schermo, ma vale la pena renderle note se parlano di gesti semplici e potenti, se magari possono incentivare altri a dare ascolto a quell’impulso che pure ogni tanto prende tutti noi: quello di dare gratuitamente, di spendersi, di fare qualcosa solo perché un altro sia contento. Soprattutto se non ha altro modo di ripagarci se non la sua stessa gioia.
E che il bene abbia voglia di propagarsi lo si sapeva già da mo’; la sua viralità nasce parecchio prima dei social.
Ci starebbe bene un tomistico #bonumestdiffusivumsui come hashtag sempre in trend topic.