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Bisogna credere in Dio per essere brave persone? Parlano le inchieste

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Shutterstock | StockPhotosArt

Jaime Septién - pubblicato il 23/07/20

Un'indagine mondiale del Pew Research Center mostra grandi differenze sulla necessità di Dio per ricchi e poveri

Una recente inchiesta del Pew Research Center, realizzata su 38.000 persone in 34 Paesi del mondo, rivive l’educato e profondo dibattito sostenuto verso il 1995 dal cardinale arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, e dall’intellettuale Umberto Eco, polemica che ha dato vita al best-seller In cosa crede chi non crede?

La questione è la seguente: una persona può essere moralmente buona senza aver bisogno di credere in Dio? Eco diceva di sì, e si appellava all’etica dell’altro; il cardinal Martini, senza negare né offendere l’atteggiamento dell’autore de Il nome della Rosa, gli diceva che in questioni come il rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale l’etica inciampa, e solo la fede in Dio dà coerenza a una morale della dignità dell’altro.

Ma cosa dice al riguardo la gente comune di 34 Paesi? Il riassunto dell’inchiesta del Pew Research Center può essere questo: le persone che vivono nei Paesi ricchi, soprattutto in Europa, hanno molte meno possibilità di associare la fede in Dio e la vita moralmente solvibile.

In altre parole, più è alto il livello educativo (e il PIL pro-capite che questo comporta), più sarà difficile per una persona comprendere che ha bisogno di Dio per essere una brava persona. La differenza tra Paesi ricchi e poveri è evidente.

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I due estremi tra i 34 Paesi considerati dal Pew Research Center sono stati il Kenya e la Svezia. Nel Paese meno ricco, ovviamente il Kenya, 95 persone su 100 hanno detto che è necessario credere in Dio per essere una persona morale, mentre in Svezia lo hanno affermato solo 9 su 100.

La secolarizzazione avanza tra i ricchi

Va segnalato che l’indagine non ha fatto distinzione di religioni, associando solo il credere in Dio e la moralità delle persone. Questa “breccia” non si verifica solo tra Paesi, ma anche tra ricchi e poveri di Paesi come gli Stati Uniti.

La differenza è infatti di 24 punti percentuali tra gli Statunitensi ricchi (che sono come gli Svedesi ma più moderati) e quelli poveri (che sono come i Kenyoti, ma molto meno convinti del rapporto tra Dio e moralità). Questo sfata l’antica convinzione che negli Stati Uniti sia le persone ricche che quelle povere fossero ugualmente religiose.

Indipendentemente dall’osservanza religiosa, sottolinea lo studio, una media del 62% delle persone nei Paesi interpellati ha segnalato che la religione gioca un ruolo importante nella sua vita; il 61% afferma che Dio gioca un ruolo di rilievo e il 53% afferma qualcosa di simile sulla preghiera.

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Va sottolineato che dal 1991 la percentuale di persone che dice che Dio è importante per loro è aumentata in Russia e in Ucraina, mentre nello stesso lasso di tempo è accaduto l’opposto nell’Europa occidentale, dove la secolarizzazione avanza a passi da gigante. L’indagine ha verificato che in questa parte dell’Europa la percentuale di persone che pensa che Dio sia necessario per essere morale è del 22%.

I Paesi con la maggiore probabilità di collegare Dio a bontà e moralità sono Indonesia (98%), Filippine (96%), Kenya (95%), Nigeria (93%), Brasile, Sudafrica e Tunisia (84%). Quelli meno propensi a legare Dio alla morale sono Svezia (9%), Repubblica Ceca (14%), Francia (15%), Regno Unito (20%), Paesi Bassi e Spagna (22%).

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