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Un castello particolare: ha il nome di un cardinale, ma è famoso per una donna

SANTA ROSA

Bgabel-CC-BY-SA-3.0

Macky Arenas - pubblicato il 21/07/20

Santa Rosa-La Eminencia, nell'isola Margarita (Venezuela)

Era il XVI secolo, e un nobile francese noto come marchese di Maintenant attaccò le coste orientali venezuelane alla guida di 500 pirati francesi. Erano attirati dall’abbondanza di perle nell’isola, bianche e grigie, lisce e irregolari, tutte naturali e dal valore straordinario. Saccheggiarono la città di La Asunción, oggi capitale dello Stato Nueva Esparta (isola Margarita). Per questo motivo si decise la costruzione di un importante forte, noto popolarmente come Castillo de Santa Rosa e battezzato in origine come Santa Rosa de La Eminencia.

Era una vera “eminenza” struttuale a forma di stella, con tre fronti difensivi, cisterna, alloggi e una cappella. Anticamente comunicava con il convento di San Francesco.

Il nome di Santa Rosa de La Eminencia è dovuto al governatore del territorio, Juan Muñoz de Gadea, e gli venne probabilmente in mente perché da quella struttura si domina tutta la valle di Santa Lucía, la via orientale e lo stretto passaggio verso nord.

La donna coraggiosa che soffrì tra le sue mura

Al di là della storia antica del castello e della sua rilevanza come fortezza in epoca coloniale, fu molto significativo durante la guerra d’indipendenza. In questa struttura venne infatti reclusa Luisa Cáceres de Arismendi, una coraggiosa donna venezuelana che perse una figlia mentre era prigioniera.

La prigione sotterranea richiama l’attenzione dei turisti, e Luisa vi rimase prigioniera nelle peggiori condizioni per un anno e mezzo quando aveva appena 16 anni. La storia dice che lì diede alla luce una bambina, che morì appena nata per la mancanza di assistenza sanitaria.

La ragazza era la giovanissima moglie dell’indomabile Juan Bautista Arismendi, il principale patriota dell’isola Margarita.

Luisa fuggì da Caracas durante il famoso esodo del 1814 – provocato dall’arrivo delle temibili truppe del crudele asturiano José Tomás Boves –, episodio noto come “L’Emigrazione a Oriente”. Nel duro esodo morì molta gente, inclusi i familiari di Luisa, che rimase praticamente sola. Perse 4 delle sue zie, e le restò solo un fratello minore. I sopravvissuti arrivarono all’isola Margarita, dove l’allora colonnello Arismendi, sotto il cui controllo si trovava il territorio, li accolse e diede loro protezione. Arismendi cercò la famiglia Cáceres, che aveva conosciuto e frequentato per qualche tempo a Caracas nel Natale 1813, offrendo alloggio, vestiti e altre risorse di prima necessità.

SANTA ROSA
Wilfredor-CC-BY-SA-2.5

“Senza patria non voglio moglie”

Luisa Cáceres e Juan Bautista Arismendi si sposarono il 4 dicembre 1814, tra grandi incertezze e pericoli. Era la tappa più cruenta della guerra. La situazione peggiorò, e l’anno successivo l’esercito del generale Pablo Morillo sbarcò sull’isola Margarita, che venne nuovamente sottomessa al dominio spagnolo. Juan Bautista Arismendi riuscì a fuggire, ma Luisa venne arrestata dalle autorità spagnole per esercitare pressioni sul marito. Incinta, ebbe una gestazione difficile che finì con la perdita della figlia.

La sua resistenza fu eroica. Né lei né il marito cedettero a pressioni o minacce. Il poeta cubano José Martí la considerava una delle grandi donne d’America e scrisse su di lei: “…e mentre il marito mitragliava la porta del forte, lei ripeteva: ‘Non otterrete mai da me che gli consigli di mancare ai suoi doveri’”.

Juan Bautista non era da meno. Il capo realista Joaquín Urreiztieta propose ad Arismendi di scambiare i prigionieri con la moglie, ma l’offerta venne respinta, e l’emissario ricevette come risposta: “Dica al capo spagnolo che senza patria non voglio moglie”.

“Il dovere di mio marito è lottare per la libertà”

Quando il marito iniziò a ottenere dei successi, si decise che Luisa sarebbe stata trasferita a Cadice, e venne imbarcata alla volta della città il 3 dicembre 1816. Lì aumentarono le pressioni nei confronti suoi e del marito, alle quali non volle soccombere. Durante la sua permanenza a Cadice, rifiutò di firmare un documento in cui doveva esprimere la sua lealtà al re di Spagna e rinnegare la filiazione patriottica di suo marito, e rispose che il dovere di quest’ultimo era servire la patria e lottare per ottenerne la libertà.

Luisa riuscì a fuggire da Cadice e a tornare in Venezuela nel 1818. Non abbandonò mai gli ideali indipendentisti, e venne accolta con gli onori riservati a un’eroina.

Luisa Cáceres de Arismendi è per i Venezuelani non solo un’eroina dell’indipendenza, ma anche il simbolo della forza umana di fronte alle avversità.

Visse a Caracas fino alla morte, nel luglio 1866. È stata la prima donna portata al Pantheon Nazional, dove i suoi resti riposano dal 1876 accanto a quelli di altri patrioti e illustri Venezuelani.

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