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Martin Luther King e la motivazione religiosa del cambiamento sociale

MARTIN LUTHER KING JR.

AFP

mons. Robert Barron - pubblicato il 18/07/20

Nella nostra società ci sono vari gravi deficit morali che vanno affrontati

Uno dei motivi principali per cui il movimento dei diritti civili degli anni Cinquanta e Sessanta ha avuto tanto successo a livello sia morale che pratico è stato il fatto che è stato guidato soprattutto da persone con una forte sensibilità religiosa. Il più importante di questi leader è stato ovviamente Martin Luther King. Per apprezzare il legame tra l’impegno religioso di King e la sua attuazione pratica, vorrei attirare la vostra attenzione su due testi: la sua Lettera dalla prigione di Birmingham e il suo discorso I Have a Dream, entrambi del 1963.

Quando era in carcere a Birmingham per aver guidato una protesta non violenta, King ha risposto ad alcuni ministri cristiani che lo avevano criticato per aver corso troppo, aspettandosi che il cambiamento sociale si verificasse dalla mattina alla sera. Il ministro battista ha risposto ai suoi critici in un modo forse sorprendente, invocando l’aiuto di un teologo cattolico medievale.

King ha infatti richiamato l’attenzione sulle riflessioni di San Tommaso d’Aquino sulla legge, soprattutto sulla teoria per la quale la legge positiva trova la sua giustificazione in relazione al diritto naturale, che a sua volta trova giustificazione nella legge eterna. L’Aquinate intende che quello che rende giusta la legge quotidiana e pratica è il fatto che in qualche modo esprime i principi della legge morale, che a loro volta riflettono la mentalità di Dio. Per questo, concludeva King, le leggi positive ingiuste, come la regolamentazione Jim Crow che contestava, non sono solo cattive leggi, ma immorali e offensive nei confronti di Dio.

Con le parole di King: “Una domanda possiamo ben fare: ‘Come si può non rispettare alcune leggi ed obbedire a delle altre?’ La risposta sta nel fatto che ci sono due tipi di leggi: giuste ed ingiuste.
Io sarei il primo a chiedere di obbedire alle leggi giuste. Si ha una responsabilità non solo legale, ma anche morale di obbedire a leggi giuste”.

“Al contrario, uno ha la responsabilità morale di disobbedire a leggi ingiuste. Sono d’accordo con S.Agostino, per il quale ‘una legge ingiusta non è affatto una legge’”, aggiungeva.

“Ora, qual è la differenza fra le due?”, chiedeva King. “Come si può determinare se una legge è giusta o ingiusta? Una legge giusta è un codice fatto dall’uomo che è coerente con la legge morale e la legge di Dio. Una legge ingiusta è un codice che non è in armonia con la legge morale. Per porla nei termini di S. Tommaso d’Aquino, ‘Una legge ingiusta è una legge umana che non trova radice nella legge eterna e nella legge naturale’”.

Tutto questo rivela quello che ha dato al movimento di King la sua giustificazione e il suo scopo.

La stessa dinamica si è dispiegata sei mesi dopo, quando King ha affrontato la folla che si era radunata al Lincoln Memorial per la Marcia du Washington. Non stava pronunciando un sermone, ma un discorso politico, sostenendo pubblicamente il cambiamento sociale.

“Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno”.

King stava collegando direttamente la rivoluzione sociale che sosteneva alla visione mistica del profeta Isaia. E poi la splendida conclusione del discorso, in cui ha fuso mirabilmente il testo di una canzone patriottica statunitense e quello di una che lui e la sua famiglia cantavano in chiesa: “E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: ‘Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente’”.

Ancora una volta, nella lettura di King l’aspetto politico si innesta su quello morale, che a sua volta si innesta sul sacro. Martin Luther King traeva dalla sua eredità religiosa non solo la metafisica che caratterizzava il suo attivismo sociale, ma anche il metodo non violento che impiegava. Quello che Gesù rivela nella retorica del Discorso della Montagna (“Amate i vostri nemici”; “Benedite coloro che vi maledicono, pregate per chi vi maltratta”, “Se qualcuno vi colpisce sulla guancia destra offrite la sinistra”,ecc.) e ancor più forte nelle sue parole di perdono sulla croce. È la via di Dio, è la via della pace, della non violenza e della compassione.

Come cristiano, King sapeva benissimo che reagire all’oppressione con la violenza non avrebbe fatto altro che esacerbare le tensioni all’interno della società, e ha esemplificato questo principio in uno dei suoi discorsi più noti: “Rispondere all’odio con l’odio moltiplica l’odio, aggiungendo oscurità a una notte già priva di stelle. L’oscurità non caccia l’oscurità; solo la luce può farlo. L’odio non può cacciare l’odio; solo l’amore può farlo”.

Nei limiti di questo articolo, non posso iniziare ad affrontare adeguatamente lo sconvolgimento sociale che si verifica oggi nella nostra cultura, ma dirò semplicemente questo: è indiscutibilmente chiaro che nella nostra società ci sono vari deficit morali che vanno affrontati, ma il modo migliore per farlo è in una cornice morale e fondamentalmente religiosa. A questo riguardo, il modello di leadership di Martin Luther King può essere un punto di riferimento.

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