«Non mi sono mai sentito abbandonato da Dio, sapendo che il Signore era con me, anche se non capivo bene cosa stesse facendo per la maggior parte di quei tredici mesi. Per molti anni avevo predicato la sofferenza che anche il Figlio di Dio ha sperimentato su questa terra, e io stesso ero consolato da questo fatto. Quindi, ho pregato per amici e nemici, per i miei sostenitori e la mia famiglia, per le vittime di abusi sessuali e per i miei compagni prigionieri e i guardiani».
Il cardinale George Pell dopo il proscioglimento da parte dell’Alta Corte australiana rompe il silenzio per raccontare, attraverso alcuni media australiani, i suoi 13 mesi in carcere, vissuti con accuse pesantissime: abusi su minori.
Pell, infatti, era stato condannato a 6 anni, in seguito alla sentenza emessa a dicembre del 2018 che lo ha riconosciuto colpevole di molestie sessuali nei confronti di chierichetti nella cattedrale di Melbourne venti anni fa. Lui si è sempre dichiarato innocente.
L’ex Prefetto della Segreteria per l’economia riconosce che in prigione «c’è molta bontà. Ho avuto la fortuna di essere tenuto al sicuro e trattato bene. Sono rimasto colpito dalla professionalità dei secondini, dalla fede dei prigionieri e dall’esistenza di un senso morale anche nei luoghi più bui» (Il Mssaggero, 16 luglio).
La prigionia
Al giornale Tha Australian (14 luglio) ha raccontato la vita in carcere. «Sono stato in isolamento per tredici mesi, dieci nella prigione di valutazione di Melbourne e tre nella prigione di Barwon – ricorda Pell – A Melbourne l’uniforme della prigione era una tuta verde, ma a Barwon mi hanno dato i colori rosso vivo di un cardinale. A dicembre 2018 ero stato condannato per reati sessuali storici contro i minori, nonostante la mia innocenza e nonostante l’incoerenza del caso del procuratore della Corona contro di me. Alla fine l’Alta Corte avrebbe dovuto annullare le mie convinzioni con una decisione unanime».
La cella di Melbourne
Il carcere di Melbourne viene descritto così su un altro giornale australiano, The Age (14 luglio): «vivevo nella cella 11, unità 8, al quinto piano. Lunga sette o otto metri e larga circa due metri, quanto bastava per il mio letto, che aveva una base solida, un materasso non troppo spesso e due coperte. A sinistra appena entrati c’erano scaffali bassi con bollitore, televisione e spazio per mangiare. Dall’altra parte della stretta navata c’era una vasca con acqua calda e fredda e una doccia con una buona acqua calda».