Nella stessa settimana in cui si ricorda uno dei massacri di cristiani più crudeli della storia contemporanea, la Turchia ha ritrasformato la storica basilica di Santa Sofia in moschea.Nell’ultima settimana, è passato praticamente inosservato nei grandi media un episodio drammatico per la storia dell’umanità: uno dei massacri perpetrati dall’Impero ottomano contro i cristiani.
La guerra civile del 1860 è iniziata sul Monte Libano, allora appartenente a quel vasto impero territoriale la cui capitale era Istanbul, nell’attuale Turchia. La scintilla fu la ribellione dei contadini cristiani maroniti libanesi contro il dominio dei drusi, minoranza religiosa autonoma la cui fede ha un certo rapporto con l’islam, anche se non sono riconosciuti come musulmani. Le battaglie si estesero fino a Damasco, capitale dell’attuale Siria, dove ebbe luogo uno dei massacri di cristiani più crudeli della storia contemporanea, con il sostegno delle autorità militari, di soldati turchi ottomani, altri gruppi drusi e paramilitari sunniti.
La carneficina durò tre giorni, dal 9 all’11 luglio, ma il 9 è ricordato come il più sanguinoso: in quella data vennero uccise migliaia di cristiani, e furono devastati e dati alle fiamme chiese, scuole cristiane, conventi e perfino interi villaggi. Il massacro costrinse migliaia di persone a fuggire, e portò all’occupazione del territorio siriano da parte delle truppe francesi.
Lo storico spagnolo José Ramón Hernández Figueiredo, che ha conseguito il dottorato in Storia Ecclesiastica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, ha commentato il motivo del massacro all’agenzia ACI Digital:
“Quell’anno, il sultano [dell’Impero ottomano] emise un decreto mediante il quale tutti i sudditi avevano gli stessi diritti a livello di imposte e occupazione di cariche pubbliche. I musulmani si indignarono, perché consideravano i cristiani tra le razze inferiori escluse dalla legge per dodici secoli”.
Lo storico ricorda che quasi 6.000 cristiani vennero uccisi, mutilati o subirono abusi in vari villaggi dell’attuale Libano. La mattina del 9 luglio, i drusi arrivarono a Damasco alla vigilia del Ramadan, e iniziò il massacro con l’attacco al quartiere cristiano di Arat-el-Nassara, dove in tre giorni vennero uccise 3.000 persone. L’emiro algerino Abb-al-Kadar, pur se grande difensore dell’islam, diede asilo a 1.500 cristiani. Tra i rifugiati c’erano religiose delle Figlie della Carità e Gesuiti, Paolini e Francescani, che arrivarono a subire la tortura da parte della folla violenta. I Francescani vennero tormentati con i coltelli dai beduini e con le baionette dai Turchi. “Ogni assassinio era accolto con immensa gioia da quella moltitudine, desiderosa di sterminio”, ha affermato Hernández.
Il ricercatore ha riferito che i criminali cercarono di farli rinunciare alla fede cristiana. Visto che opponevano resistenza offrirono loro ricchezze, che vennero ugualmente rifiutate. Vennero allora martirizzati. Lo storico ricorda che tra le vittime c’è stato padre Engelbert, che ha rifiutato “in modo deciso e tenace di pestare la croce del Redentore, protestando in lingua araba contro gli atti selvaggi dei seguaci di Maometto a cui aveva assistito, sopportando e perdonando, come Dio ordina di perdonare i nemici della Chiesa”.
La Chiesa riconosce vari santi e beati martiri di quel massacro, che non è comunque stato né l’unico né l’ultimo perpetrato dall’Impero ottomano. Il genocidio contro i cristiani armeni ha raggiunto l’apica nel 1915, durante la I Guerra Mondiale e negli ultimi anni di quell’Impero ormai in decadenza.
Il 10 luglio, nel pieno anniversario dei 160 anni del massacro ottomano contro i cristiani maroniti, l’attuale Presidente della Turchia, Paese che ha sostituito l’Impero ottomano, ha decretato che la storica basilica di Santa Sofia tornerà ad essere una moschea.