In fondo lo abbiamo sempre saputo, ma è bello che la scienza confermi i dati scritti nel cuore umano: i gesti di affetto dei genitori attivano specifiche aree del cervello legate allo sviluppo della coscienza.Qualche giorno fa una neuropsichiatra infantile ha tenuto un incontro nella scuola media frequentata da mio figlio maggiore per aiutare noi genitori a essere di supporto (e non di ostacolo!) ai nostri ragazzi alle prese con la scelta della scuola superiore. Con grande stupore dei più ci ha suggerito di non screditare l’ipotesi che la scuola sia scelta in base a dove vanno gli amici. Molti, io compresa, hanno avanzato qualche obiezione: ma come? Non dovremmo invece pensare alla qualità del corpo docente, al valore della proposta didattica, eccetera?
L’azzardo della dottoressa non era un invito a scegliere sull’onda emotiva o a trascurare le valutazioni più propriamente educative; se vogliamo era una proposta a più ampio spettro, ci suggeriva un investimento a lungo termine. Nel futuro sarà un bisogno sempre più sentito quello di creare relazioni vere, in carne e ossa. Che nostro figlio si sia costruito una rete di amicizie fatta di volti e voci (non solo chat e video) avrà per il suo futuro un valore enorme, sarà una risorsa salvavita in una società sempre più virtuale ed individualista. Naturalmente non dirò a mio figlio di scegliere una certa scuola, per cui non è portato, solo per stare con la sua compagnia di amici, ma preservare anche questo elemento relazionale non è affatto un fattore trascurabile.
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Sempre più spesso la scienza si accorge del contributo tutt’altro che superficiale delle relazioni; ricerche all’avanguardia documentano traguardi che all’uomo comune paiono come «la scoperta dell’acqua calda». Ma non è una critica, è semmai un grido di esultanza. Quello che abbiamo sempre saputo e a cui davamo il nome di tradizione o buon senso o persino «rimedio della nonna» sono contributi così incarnati nell’umano che persino il riscontro scientifico ne offre una lettura di valore.
Un esempio: il valore dell’empatia nella cura di certe patologie infantili. In sintesi, quella frase che tutti ci siamo sentiti dire: «Adesso mamma ti dà un bacio, così passa la bua» non era solo una coccola, bensì una vera e propria medicina. In fondo lo abbiamo sempre saputo.
Il mal di testa passa con un bacio?
Una ricerca presentata da Vincenzo Guidetti, neuropsichiatra della Sapienza di Roma, al Congresso Internazionale sulle Cefalee di Stresa elenca il mal di testa tra i disturbi di internalizzazione derivati da carenze affettive nell’infanzia. Guidetti ha analizzato circa 60 studi condotti negli ultimi 5 anni. Gli strumenti di neurovisualizzazione hanno confermato quello che gli psicologi avevano intuito da tempo: i gesti di affetto dei genitori attivano specifiche aree del cervello legate allo sviluppo della coscienza. (da Il digitale)
Il professor Guidetti si occupa di studiare le cefalee ed emicranie nei bambini e definisce il suo lavoro una finestra speciale per osservare un disturbo su cui convergono elementi biologici, psicologici e comportamentali. Soffrire di mal di testa è una di quelle patologie che con più spiccata evidenza ci mostrano il bisogno – vero in ogni contesto – di guardare la persona nella sua interezza. Non solo la genetica, ma anche la storia personale, le relazioni e l’ambiente determinano una sofferenza precisa e specifica come il mal di testa.
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Per suggerire questo coinvolgimento complessivo Guidetti ha mostrato la foto di Rebecca Saxe. Ci eravamo già occupati di questa ricercatrice del MIT che era riuscita a fotografare il suo bacio di mamma al figlio durante una risonanza magnetica che sta passando alla storia.
La foto inquadrava l’affetto madre-figlio da un insolito punto di vista, tecnico eppure tutt’altro che freddo. Come evidenzia l’immagine della risonanza magnetica della Saxe i cervelli di madre e figlio «si accendono in sintonia», cioè quella nuvola emotiva che chiamiamo affetto produce effetti molto concreti nello sviluppo del cervello. In questo senso, il bacio di mamma “che fa passare la bua” non è più solo un modo di dire, bensì l’evidenza che il legame affettivo incide sulla salute. Banalmente: è ovvio che non stiamo mettendo il bacio della madre sullo stesso piatto della bilancia su cui metteremmo l’ibuprofene.
Piuttosto si tratta di valorizzare questo sguardo medico che dà a Cesare quel che è di Cesare e, a una società spinta a considerare fluttuante e inconsistente la famigliacon sempre più forte insistenza, ci ricorda che il benessere psicofisico della persona ha come alveo originale proprio la relazione con mamma e papà.
Nel bene e nel male, evidentemente. In un approfondimento accurato di Cesare Peccarisi sul Corriere sono ripercorse le tappe essenziali della ricerca del professor Guidetti.
Comunque, sia che si verifichi a 2 o a 5 anni, una carenza affettiva genitoriale può dar luogo ai cosiddetti disturbi di internalizzazione, come ansia o depressione. […] Secondo una ricerca presentata all’ultimo congresso internazionale sulle cefalee di Stresa da Vincenzo Guidetti, neuropsichiatra dell’Università della Sapienza di Roma, fra questi disturbi di internalizzazione rientrerebbe anche il mal di testa. «Come nell’adulto ogni bambino ha una sua storia personale e una sua esperienza di vita – dice Guidetti – e la sua vulnerabilità può essere capita solo analizzandone le radici, altrimenti le nostre conclusioni sono parziali e ci fanno perdere di vista la complessità del problema». (da Corriere)
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Specchio, specchio dell’empatia
Domenica scorsa a messa c’era vicino a noi un bimbo di circa due anni che correva come un matto, a un certo punto è caduto. Non si è fatto nulla, però, come capita spesso, dopo un po’ si è messo a piangere. Sua madre è arrivata con calma, in effetti non c’erano urgenze; non lo ha preso in braccio, gli ha solo parlato da vicino ma senza contatto. Gli ha ragionevolmente spiegato l’accaduto: «Non ti sei fatto nulla, sei solo inciampato. E poi non hai neanche pianto, vuol dire che non hai male. Ti sei messo a piangere dopo, perché volevi che venissi da te». Il bimbo ha continuato a piangere.
Le giuste argomentazioni razionali della madre sono proprio la dimostrazione che aveva torto. Quel bambino voleva essere preso in braccio e baciato; era più necessario della ramanzina. Non aveva bisogno di capire, ma di essere accudito. Tanto spesso mi riconosco in quella mamma, cioè sono vittima anche io di un eccesso di razionalizzazione degli affetti che mi piomba addosso dal mondo circostante, credo. Trattiamo i nostri bambini come idoli che si meritano spiegazioni quasi enciclopediche, quasi che funzionino meglio di quell’affetto viscerale fatto di contatto e paroline storpiate come bua e ninna. Allora ringraziamo davvero la scienza se ci riporta a scoprire che un bacio in più, un abbraccio in più hanno un valore incommensurabile e dagli effetti straordinariamente concreti:
Le ricerche che hanno guidato i ricercatori romani dimostrano poi che si verificano adattamenti neurofisiologici anche nel cervello dei genitori, che corrispondono a ciò che gli psicologi chiamano mirroring, rispecchiamento, termine che indica il modo in cui il genitore impara a riconoscere emotivamente gli stati mentali del suo bambino. Grazie al rispecchiamento mamma e papà restituiscono il loro senso di comprensione al bambino, che così legge nei loro occhi che hanno capito cosa desidera e ciò gli consente di percepirsi come entità capace di propri stati mentali, avviando in lui il cosiddetto processo di mentalizzazione con cui impara a regolare e modulare i suoi affetti e le sue angosce. (ibid)
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Un bacio innesca la coscienza, perché in esso il bambino si specchia. Ampliando l’orizzonte, si tocca l’ambito più generale delle relazioni.
Guidetti ora aggiunge anche il rischio di cefalea: «Uno dei migliori consigli da dare ai genitori per guidare correttamente i figli è ascoltare e capire con empatia i loro bisogni. I piccoli si rispecchiano nei loro occhi – dice Guidetti – e lo stile di educazione che gli daranno è fondamentale: ai bambini che sviluppano cefalea è stata, ad esempio, concessa da piccoli un’autonomia significativamente inferiore alla media, spesso hanno genitori divorziati o madri che tendono a enfatizzare eccessivamente i loro disturbi, manifestando il dolore in maniera molto più marcata rispetto ai padri». (ibid)
Sono figlia di genitori separati e soffro di cefalea dall’adolescenza; perciò sono capace di non cadere nella trappola del sillogismo spinto: i miei genitori non stanno insieme, quindi mi è venuto il mal di testa. Però le relazioni in carne e ossa contano, non agiscono solo sulla cornice sentimentale. Se si spezzano è inevitabile che ci siano delle conseguenze, delle ferite; laddove la loro presenza è forte l’intera salute della persona ne guadagna, il bacio in fronte di una madre non è solo un placebo. Quel che si desume dal dato osservato dal neuropsichiatra è la necessità di non escludere nulla nella cura di una persona. C’è un’alleanza da sempre scritta nel nostro intimo: il figlio ci ricorda coi suoi bisogni indispensabili che non siamo isole, il nostro benessere si fortifica dentro un abbraccio.