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Eutanasia, obbligò a morire una donna olandese: il racconto choc della “dottoressa A.”

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Nieuwsuur

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 10/07/20

"Prima la drogai, poi le siringhe. Lei si dimenava, ma lo rifarei". Marinou Arends, medico, assolto dalla Corte Suprema olandese, chiese per tre volte ad una donna ricoverata in una casa di cura se voleva l'eutanasia

Si chiama Marinou Arends, è questo il nome della “dottoressa A.” o “Catharina A.”, pseudonimo usato in questi anni dai giornali per proteggere l’anonimato del medico che nel 2016 diede l’eutanasia a una anziana affetta da demenza senile e contro il suo volere. La sua storia la racconta Tempi.it (18 giugno).

Assolta dal tribunale dell’Aia lo scorso settembre, decisione confermata ad aprile dalla Corte Suprema olandese a cui il giudice aveva rinviato il caso «nell’interesse della legge», oggi la dottoressa, geriatra in pensione, ha deciso di rivelare la sua identità. E spiegare perché «lo rifarei ancora», in una intervista rilasciata all’emittente

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Il ricovero a “Florence”

La donna ha 74 anni, oltre 50 trascorsi accanto al marito, quando viene portata dai parenti alla casa di riposo “Florence” a L’Aia; caso vuole, prosegue Tempi.it, ci sia una stanza libera proprio nel reparto della Arends e che la Arends scopra subito che anni prima l’anziana aveva firmato un testamento biologico specificando che avrebbe voluto ricevere l’eutanasia se fosse stata rinchiusa in una casa di riposo.

EUTANASIA DOLORE DEPRESSIONE
Shutterstock-Rido

“Era sempre triste, ribelle”

«Quando bevevamo il the – racconta Marinou – si lamentava sempre della sua condizione terribile, del fatto di non poter più fare nulla, e di essere sempre così stanca. Era sempre triste, triste, ribelle, irrequieta».

Della sua “infelicità” l’anziana parla con tutti, Arends è sempre più convinta che darle l’eutanasia sia la soluzione migliore per alleviare le sue sofferenza e il marito, che ha una procura per prendere decisioni su sua moglie, è d’accordo. Ma c’è un problema: nel testamento biologico la donna ha specificato che l’eutanasia avrebbe dovuto esserle erogata solo «su mia richiesta, quando riterrò che sia giunto il momento», e quando «sarò nel pieno delle mie facoltà» per richiederla.

“Che ne pensi se ti aiuto a morire?”

Per tre volte Arends chiede alla donna «che ne pensi se ti aiutassi a morire?» e per tre volte l’anziana risponde sconcertata di no, aggiungendo «penso ci stiamo spingendo troppo lontano, morta, no».

Siccome quelle risposte non erano coerenti alle volontà scritte anni prima, la donna dimostrava di non essere in sé, per il medico era mentalmente incompetente e «io non potevo abbandonarla», privarla dell’occasione di smettere di soffrire.

eutanasia
CC

Il giorno dell’eutanasia

L’eutanasia viene apparecchiata la mattina del 22 aprile 2016. Sono presenti anche il marito dell’anziana, sua figlia e suo genero.

Arends decide di non chiedere alla donna ancora una volta se vuole morire il medico versa della droga nel caffè dell’anziana, senza spiegarle che di lì a poco sarebbe stata uccisa, «l’ho fatto col permesso del marito e della figlia, entrambi hanno dato pieno consenso»

L’orrore: il risveglio

Il medico non si sofferma su cosa è accaduto dopo, quando l’anziana pare ormai addormentata e le viene praticata la prima delle tre iniezioni necessarie per ucciderla. Perché è qui che avviene l’orrore, denuncia sempre Tempi: l’anziana si sveglia, capisce cosa sta succedendo, inizia a dimenarsi cercando di tirarsi indietro. Ma Arends, imperterrita, con l’aiuto della figlia e del marito dell’anziana che la immobilizzano nel letto, porta a termine la procedura.

La donna muore in pochi minuti: «Ho dovuto farlo senza il consenso della paziente. È stato un passo tremendamente difficile. Ma per il meglio».

Come si può morire oggi in Olanda

Dopo la sentenza della Corte Suprema è caduto anche il paravento dell’autodeterminazione e il mito della morte dignitosa: oggi in Olanda si muore drogati, uccisi a forza, mentre i parenti ti immobilizzano al letto e il medico ti pratica tre iniezioni letali con la convinzione di fare il proprio mestiere: “dovevo aiutarla”, “non potevo abbandonarla”, “lo rifarei”.


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