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Non dimenticherò mai quel giorno ad Assisi, avevo 14 anni: fu un incontro bellissimo!

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Chiara Bertoglio - pubblicato il 08/07/20
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Assisi vuol dire San Francesco, San Francesco vuol dire povertà. Tutto semplice, finché non incontrai i ragazzi di strada e le loro storie. Fu un momento di grandissima importanza per la mia crescita!Avevo quattordici anni quando partecipai ad un incontro, ad Assisi, organizzato dall’allora neonata associazione “Noi Ragazzi del Mondo”, frutto della visione profetica e carismatica di un sacerdote marchigiano, don Franco Monterubbianesi. Fu un momento di grandissima importanza per la mia crescita: in un ambiente di amicizia e spontaneità avemmo modo di incontrarci e parlarci con gruppi di nostri coetanei provenienti dal sud del mondo: camerunesi, ecuadoregni, guatemaltechi, brasiliani…
Ricordo come rimasi colpita dalla bellezza delle amicizie che nacquero in pochi giorni, fra adolescenti che spesso non sapevano le lingue degli altri; ricordo la fortissima impressione di conoscere ragazzine della mia età che già stavano uscendo dall’esperienza terrificante della prostituzione; ricordo la bellezza dello sguardo rinato di ragazzini brasiliani che avevano fatto uso del “crack” a dodici anni, ma ora guardavano ad un futuro diverso dopo aver, finalmente, incontrato l’amore di qualcuno che volesse loro bene.
Ricordo anche come rimasi colpita da alcuni discorsi che facemmo con i sacerdoti ed i frati di Assisi. Assisi vuol dire Francesco, Francesco vuol dire povertà. Tutto semplice, finché non incontri i ragazzi di strada e le loro storie. Perché rivelano il volto di una povertà che è tutt’altro che buona; una povertà che degrada, che nega, che calpesta, che viola l’innocenza, che cancella il futuro. E qualcuno dei ragazzi sudamericani disse semplicemente: “Una cosa è la povertà. Un’altra è la miseria”. È un concetto relativamente semplice, ma io non ci avevo mai pensato. E la distinzione mi è rimasta sempre nel cuore.
Altrettanto semplice, concettualmente, è il legame etimologico fra miseria e misericordia; ma è un legame così ricco che non basterebbero molte pagine a svilupparlo.
Misericordia ha dentro di sé il “commiserare” (com-patire, patire-con), ha il “cuore” che è l’agente del “patire-con”, ha la pietà che è sua volta compassione e pietas, la bontà profonda che è anche riconoscimento della trascendenza.
Solo chi sa mettersi in ginocchio (non obbligatoriamente davanti a Dio: basta solo che non sia davanti a se stessi) sa vedere la “miseria” degli altri, economica, morale, psicologica, relazionale. Solo chi sa di essere misero, ha il cuore di misericordia. E solo chi sa aprire il proprio cuore può trasformare la miseria, propria e altrui, nella fioritura della misericordia.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA CHIARA BERTOGLIO

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