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Con quale intenzione faccio le cose?

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 06/07/20

Chi sono io per giudicare le intenzioni altrui?

Spesso non so se l’intenzione con cui faccio le cose è quella che manifesto al farle o se ce n’è un’altra nascosta. Non so se c’è un unico motivo o ce ne sono vari. Non so nemmeno se le mie motivazioni sono quelle giuste. Mi costa sapere se il motivo è sempre quello adeguato. Non so se lo faccio bene, non so se è corretto.

Forse non ci sono intenzioni più corrette di altre. O forse sì. Come si può valutare l’intenzione di un atto? È male fare qualcosa mossi dal desiderio di servire e di essere al contempo amati e valorizzati? Ho nell’anima un desiderio costante di essere riconosciuto e valorizzato. Posso negarlo?

Fin dalla culla ridevo per far ridere e facevo gesti con il viso, le braccia e le gambe per richiamare l’attenzione di chi mi voleva bene. Poi ho continuato a farlo. Ho bisogno di placare l’ansia dell’anima di donarmi ed essere generoso, e allo stesso tempo voglio soddisfare il desiderio profondo di essere amato, abbracciato, riconosciuto, valorizzato.

Vivo mosso dalle mie ferite più profonde, quelle che un giorno qualcuno mi ha provocato senza volerlo. Quelle ferite che soffro quasi fin da bambino, nel mio subconscio. Qualche sguardo o un episodio di disprezzo ha spezzato la mia anima.

Da allora corro per i campi della vita pretendendo di essere amato, desiderato, cercato. Sono come un bambino abbandonato che cerca di tornare alla sua casa perduta tra i boschi, cercando la direzione giusta.

E allora chi sono io per giudicare le intenzioni degli altri quando fanno il bene? Semplicemente lo fanno, amano, si preoccupano degli altri, accompagnano la vita dei bisognosi. Basta solo questo per amare gli altri. È solo questo che voglio valorizzare.

Agiscono con bontà mossi dal desiderio di amare, di aiutare chi ne ha bisogno, di servire chi lo chiede loro. Non è abbastanza? A volte, forse per invidia, o per gelosia, sospetto e giudico. Penso che ci siano secondi fini e un’ansia di protagonismo. Mi perdo in giudizi e condanne di atti pieni di bontà.

Sono più di Dio per giudicare l’uomo? Perché non mi rallegro semplicemente per il bene che fanno gli altri? Invidie, gelosie… Che peccato che le mie parole offuschino una buona azione!

Non voglio dedicarmi a giudicare le intenzioni, né le mie né quelle altrui. Non ci sono intenzioni pure. Guardo il mio cuore. Dico di fare il bene per amore altrui, amando me stesso in tutto ciò che faccio.

Pretendo di servire con tutta la mia vita, con il mio tempo, con la mia anima, e aspetto stanco il riconoscimento di tutte le mie azioni. Mi addoloro per l’indifferenza del mondo, mi indigno quando ricevo delle critiche. E le mie intenzioni sono totalmente pure e generose? Non lo sono. Si mescolano.

A volte do troppa importanza all’eco di tutte le mie azioni. Mi infastidisce il silenzio che provocano i miei gesti d’amore. Può essere che stia dando valore a ciò che non è importante.

Come diceva suor Verónica, fondatrice di Iesu Comunio, “quello che non ha valore alla fine della nostra vita non lo ha neanche adesso”. Alla fine della mia vita vedrò che poche cose sono importanti.

E tra queste non figura l’opinione di chi non mi ama. Non penserò ai giudizi di chi non amo. Non mi importerà la condanna delle mie azioni, né il disprezzo di tutto ciò che ho fatto per gli altri.

Custodirò tra le dita le poche cose importanti che contano. L’amore ricevuto. L’amore donato a cuori concreti. Le mie rinunce, i miei sogni.

Custodirò come un tesoro il tempo investito in ciò che è importante. Non dimenticherò l’odore del mare, la nostalgia dei miei sogni, la dolcezza degli abbracci.

Custodirò la pace delle notte tranquille e la calda musica dei giorni di sole. Raccoglierò le notti spezzate all’alba come una traccia dell’amore ricevuto.

Conserverò solo alcune parole realmente importanti che proiettano un’ombra immensa sulla mia vita, un’ombra protettrice. Non dimenticherò le decisioni rilevanti che hanno cambiato per sempre la mia direzione.

Sosterrò col fiato sospeso i silenzi condivisi e le risate dei pomeriggi da sogno.

E mi inciderò nel petto come una consegna la fiducia data e ricevuta. Quel tesoro strano e al contempo sacro che mi fa continuare ad amare con più forza.

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