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Dio l’ha salvata da un padre violento, dal suicidio e ora dal coronavirus

CHATITA

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Jesús V. Picón - pubblicato il 04/07/20

Una ragazza spiega ad Aleteia come trasformare il profondo dolore della vita in benedizione e perdono

Grazie per averci concesso questa intervista per Aleteia. Potresti dirci il tuo nome, la tua età, se sei nata negli Stati Uniti? Parlaci un po’ anche del tuo lato umano, della tua professione di speaker. In quali stazioni radio lavori, che tipo di musica presenti, quante ore dedichi ogni giorno alla radio?

Mi chiamo Estela Romo, ho 30 anni, sono orgogliosa di essere messicana e sono nata in un paesino chiamato Jalostotitlán, nello Stato di Jalisco.

Vengo da una famiglia cattolica. Sono la dodicesima figlia dei miei genitori su un totale di 14. Ho 9 fratelli e 4 sorelle. Dieci anni fa sono emigrata negli Stati Uniti. Vivo a Indianapolis, nell’Indiana, nel nord del Paese.

Sono una persona molto umana e adoro aiutare gli altri. Lavoro in una stazione radiofonica come speaker al programma del mattino di un’emittente regionale messicana, e anche su Éxitos 94.3 FM, di pop latino. Adoro il mio lavoro!

Far parte della radio è una delle cose che ho sempre sognato fin da bambina. Il microfono è una delle mie passioni.

Lavoro alla radio dal lunedì al sabato. Dal lunedì al venerdì lavoro dalle 6.00 alle 12.00, il sabato dalle 7.00 alle 11.00. Elaboro una programmazione musicale in cui la gente mi chiama e chiede una canzone, e parliamo di qualsiasi tema.

Ho anche un altro lavoro, in una ditta di pulizie. Ci lavoro dalle 15.00 alle 23.00.

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Da dove deriva il tuo soprannome, “Chatita”? Chi te l’ha dato?

Tutti i miei amici, la gente vicina a me, e di fatto quasi tutti, mi conoscono come “la Chata”. È il mio soprannome, e quando qualcuno mi chiama con il mio vero nome in genere dico “Che ho fatto? Sei arabbiato con me? Perché mi chiami Estela?” In genere quando mia madre era arrabbatia con me mi chiamava Estela, e quindi sentire “Estela” significava che avevo fatto qualcosa di sbagliato. Quando ero piccola – lo sono ancora, perché non sono cresciuta molto – avevo il naso piccolissimo, molto piatto, e uno dei miei fratelli ha iniziato a chiamarmi per questo “Chata”, mi è rimasto come soprannome. Mi sono abituata talmente che si può dire che non mi piaccia il mio nome perché tutti mi conoscono come “Chata”.

Quali sono stati i momenti più oscuri della tua vita, quelli più difficili? Sappiamo che poco tempo fa sei stata anche malata. Parlaci un po’ di quello che ti ha forgiato.

Vengo da una famiglia numerosa. Mia madre è una persona molto forte, un superero, ha un’enorme fede in Dio. La persona con più fede che conosco è mia madre. È un angelo.

Mio padre era invece alcolizzato, donnaiolo, e ci ha imposto molta violenza domestica. È stato difficilissimo; nell’infanzia sono cresciuta senza padre per via dei suoi problemi con l’alcool, perché passava da una donna all’altra, aveva figli ovunque, picchiava mia madre, ci cacciava di casa, spaccava porte, vetri e tutto quello che incontrava.

In questa situazione così negativa, mia madre ci ha sempre dato il meglio, proteggendoci e prendendosi cura di noi. Quando avevo 12 o 13 anni ha deciso di lasciare mio padre, ma lui non l’ha mai lasciata, perché veniva sempre dove vivevamo ed era sempre lo stesso. Abbiamo però raggiunto un’età in cui avevamo un po’ più di forza, e allora riuscivamo a fermarlo perché non picchiasse mia madre, la potevamo difendere.

La mia infanzia è stata difficile, ma non mi è mai mancata mia madre, che ha equilibrato le cose.

Poi sono venuta negli Stati Uniti, ma i nostri progetti sono molto diversi da quelli che Dio ha per noi. Arrivare qui, con una cultura diversa, una lingua diversa, senza amici, è stato difficile, ho avuto paura. Sono venuta con la mia famiglia, e sono grata nei suoi confronti per tutto quello che ha fatto perché potessi andare avanti.

In questo periodo sono successe molte cose. Due o tre anni fa ho attraversato una depressione molto forte per via di una situazione amorosa e per gli amici. È stata una cosa che spero di non vivere più. Non trovavo un senso al fatto di essere viva, e mi chiedevo: “Perché capita a me? Perché le cose brutte capitano alle brave persone? E perché alla gente che si comporta male le cose vanno meglio nella vita?” La vedevo così perché mi trovavo nell’oscurità, in una situazione in cui nessuno vedeva il mio mondo e non riuscivo ad avanzare. È stato molto, molto difficile, e volevo togliermi la vita.

All’epoca avevo un amico che mi ha sostenuto molto e mi diceva: “Affida le tue cose al Signore, lascia tutto a Dio!” Ma io mi chiedevo: “Perché Dio non mi aiuta?” Una notte ho avuto un attacco di panico; vivevo da sola, perché i miei familiari avevano le proprie famiglie, mentre io sono single. Non avevo mai avuto un attacco di panico, ed è stato così brutto che quella notte stessa ho detto al Signore “Se ci sei davvero, aiutami!”

Un falso amico mi ha detto: “Basta: fallo, togliti la vita”. Ricordo chiaramente la data in cui mi sarei tolta la vita: quel giorno, uscendo dal lavoro, avevo già pronto il mio progetto, perché non ce la facevo più. All’improvviso ho ricevuto una telefonata da una persona, che in quel momento è stata il mio angelo custode perché mi ha salvata dal suicidio. Mi ha detto: “Sono Tizio e vorrei invitarti a prendere un caffè”. Non posso dire che sia stata una coincidenza, perché in quella notte di panico avevo detto al Signore “Se esisti davvero, se mi vuoi davvero bene, dimostramelo!”

Sono tornata a casa piangendo e ho detto a Dio: “Signore, fa’ di me ciò che vuoi. Sono qui”. Perché posso dire davvero che il Signore mi ha telefonato; è stato il Signore a farmi quella telefonata che non mi aspettavo.

Un’altra prova difficile che ho appena superato è stata quella relativa al Covid-19. Il coronavirus è una di quelle cose che non pensavo mi accadessero; all’inizio non credevo che questa malattia esistesse davvero. Ora, però, ringrazio il Signore di averla avuta, perché fin dal primo giorno in cui mi sono ammalata, quando ancora non sapevo di avere questo virus, il Signore mi ha parlato in un modo incredibile.

È una malattia in cui si deve stare isolati, senza contatti con nessuno. È molto difficile stare da soli in una situazione simile, ma posso dire di non essere mai stata sola, perché il Signore è sempre stato al mio fianco. Mi ha dato la piaga e il rimedio. E in questo processo non è mai, mai mancato qualcuno che pregasse per me, o qualcuno che mi mandasse da mangiare. Ricevevo anche telefonate e messaggi. Il Signore è stato così grande e buono con me! Credo che mi abbia concesso di avere questa malattia per dirmi: “Ehi, fermati! Sono qui, voglio trasformarti”.

È stata una malattia molto dura, che non auguro a nessuno. Mi sono contagiata lavorando alle pulizie, perché sono stata vicino a una persona che aveva il virus ma non lo sapeva e credeva di avere una semplice influenza. Io non portavo la mascherina.

È accaduto un mercoledì, e il venerdì mi è venuto quello che sembrava un semplice raffreddore, e quindi sono andata in palestra, ho sudato molto e sono uscita senza felpa. Da quel momento ci sono stati giorni in cui mi sentivo più o meno bene e altri in cui stavo così male da non riuscire ad alzarmi dal letto. Ma Dio è sempre stato lì.

Non sono tornata alla radio, e ho avvisato che non sarei andata perché stavo male. Una donna allora mi ha telefonato e mi ha detto: “Non ti ho sentita alla radio. Sei in vacanza, va tutto bene?” Le ho detto che ero un po’ raffreddata e che preferivo non uscire, e mi ha detto: “Hai bisogno di qualcosa? Vuoi che ti porti qualche medicina?” Le ho detto che non era necessario ma ha insistito: “Hai mangiato?” Non avevo mangiato niente, ed è qui che entra in gioco il mio ego, perché mi piace molto aiutare le persone, ma non sentirmi debole o bisognosa di aiuto. Ma il Signore mi ha detto: “È su questo che voglio lavorare in te”. E allora ho risposto alla signora che non avevo mangiato, ma che mi sarei subito preparata qualcosa. Mi ha detto che mi avrebbe portato del cibo ma ho rifiutato, e poi mi ha mandato un messaggio: “Senti, Chata, tu aiuti sempre le persone senza chiedere niente in cambio. Lascia che Gesù aiuti te attraverso altre persone”.

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Pum! Non ho potuto più dire di no. Da allora ho capito che il Signore aveva qualcosa da dirmi nel decorso di questa malattia. E non ho mai perso la fede. C’è stata paura, sicuramente, ma in quei momenti dicevo: “La paura non è di Dio, devo avere fede”. E ho pregato dicendo: “Signore, Tu hai pagato per tutte queste malattie sulla croce, per amor mio. Credo che verrai a donarmi la salute”. E così è stato.

Il Signore ha permesso che mi ammalassi perché vedessi il mio orgoglio e capissi che tutti abbiamo bisogno degli altri. Il Signore mi dice che per seguirlo bisogna essere umili. L’umiltà innanzitutto! E devo essere più umile, accettare il fatto che commetto degli errori, che sono un essere umano bisognoso di altre persone.

Questa storia mi ha lasciato una grande lezione: sono ancora qui grazie alla bontà di Dio, grazie al suo amore, sono un miracolo di vita! Sono molto grata. E il Signore mi ha insegnato la parte più umana, mi ha insegnato a valorizzare di più la vita e le cose importanti, come un abbraccio o una chiacchierata in famiglia, e ad abbandonare un po’ le cose mondane.

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Puoi rimanere senza lavoro, senza casa, senza macchina. La vita è molto fragile, e quello che il Signore vuole in quel momento è che confidiamo in Lui, che gli offriamo la nostra vita. E quando offriamo la vita al Signore andiamo come su un toboga, perché il Signore ci dà la sua pace, perché la sua misericordia è infinita.

“Chatita”, mi hai fatto pensare che la vita di ciascuno di noi ha una missione, un sogno di Dio, e tu lo hai avuto nonostante le difficoltà. Ti ha anche permesso di realizzare uno dei tuoi sogni, quello di diventare una speaker. Non lo hai realizzato in Messico, ma negli Stati Uniti. Come si realizzano i sogni, come hai fatto?

Al di là del sogno di diventare una speaker, ne ho realizzato anche uno dei più grandi che avevo, conoscere la Terra Santa. Da bambina mi dicevo “Un giorno ci andrò”. Vedevo in televisione le trasmissioni della Settimana Santa e quanto era bello, e mi chiedevo cosa avrei provato a stare nel luogo in cui ha vissuto il Signore, dove Gesù ha compiuto i suoi miracoli.

I sogni si realizzano quando si ripone la propria fede nel Signore, quando si crede al Signore. Se si ha un sogno è perché il Signore lo ha posto in noi, ma Egli ci lascia liberi, e ci ha donato il libero arbitrio. Possiamo credere o non credere a Dio. Se siamo un’opera perfetta di Dio, perché siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, dobbiamo credere nel fatto che ci darà una vita in abbondanza, perché ce l’ha promessa.

Quando credi in Dio, tutto il tuo mondo cambia. Se hai un sogno, stai certo che lo realizzerai. Costi quel che costi lo realizzerai, ma non devi mai perdere la fede. Concentrati sempre, e ricordati di ringraziare il Signore per ogni cosa, positiva o negativa, perché a volte le cose più negative che possono accadere sono il meglio che può succedere in quel momento.

Come sono diventata una speaker? Lo chiedevo sempre a Dio. Giocavo a fare la speaker a casa o in macchina. Da bambina prendevo una bottiglia e la usavo come microfono, o il bastone della scopa, o il telecomando; e parlavo da sola, mi raccontavo barzellette… facevo la speaker.

E poi, finalmente, è arrivato un momento nella vita in cui mi è stata data l’opportunità di fare la speaker, ed è un lavoro che amo. Vorrei, e vediamo se il Signore lo realizzerà, lavorare per Lui, far parte di qualche istituzone; ora sono membro di un’organizzazione pro-vita, ma vorrei annunciare la fede, poter dire “Il Signore mi ama per questo e per quest’altro”, e far conoscere l’Amore immenso che è Dio e come ci ama infinitamente. È uno dei miei grandi obiettivi, che so che Egli realizzerà a suo tempo; so che in questo momento mi sta trasformando, mi sta mettendo nel fuoco perché il vaso sia bellissimo.

Voglio invitare la gente a non perdere mai la fiducia nel Signore. Offritegli tutto, perché se vi ha dato un sogno è perché lo realizzerà.

Quando sono andata in Terra Santa è stata un’avventura, perché all’arrivo il mio bagaglio è andato perduto, e avevo voglia di tornare a casa. Quando sono arivata in albergo senza la valigia per potermi cambiare d’abito, però, com’è frequente c’era una Bibbia, e quando l’ho aperta ho trovato scritto: “Lascia tutto ciò che hai e seguimi”. E ho pianto perché mi avevano perso la valigia anche se mi trovavo nel luogo che avevo sempre desiderato di visitare.

I sogni si realizzano lavorandoci su, non perdendo la fede nel Signore, e confidando sempre, sempre, nel fatto che se è per il tuo bene Dio te lo darà.

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