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E’ vero che Papa Onorio I, Giovanni XXII e Francesco hanno commesso eresie?

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Antoine Mekary | ALETEIA

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 01/07/20

Alle accuse, il teologo risponde così: "L’ipotesi di un 'papa eretico' sembra appartenere più alla fantascienza che alla teologia". Ecco perchè

Cosa accomuna Papa Onorio I Papa Giovanni XXII a Papa Francesco? Sono tre papi a cui è stata attribuita, in circostanze molto diverse tra loro, l’accusa di eresia.

«L’ipotesi di un “papa eretico” sembra appartenere più alla fantascienza che alla teologia e alla vita della Chiesa – premette Giuseppe Lorizio, docente di Teologia fondamentale all’Università Lateranense – lo conferma il fatto che tale situazione non viene contemplata nel diritto canonico. Tuttavia essa fa capolino nei tentativi, che risulteranno sempre fallaci, di destabilizzare la comunità messi in atto da gruppuscoli reazionari e tradizionalisti, che talvolta si autodefiniscono anche sedevacantisti».

Teologia ed eresia

Poiché tali posizioni, evidenzia il teologo, «rischiano di confondere le menti e i cuori di quanti non dispongono di una sufficiente formazione teologica», una riflessione sull’argomento, che tenga conto della storia e della fede, «potrà risultare utile, e forse anche necessaria, perché la chiesa viva nella pace la sua adesione a Cristo, nella consapevolezza che è lo Spirito a condurla nei sentieri del tempo e che tale assistenza non verrà mai meno».

L’infallibilità del Papa

Il servizio del vescovo di Roma «non si esprime e manifesta tanto nella dimensione giuridica della giurisdizione nel quadro di una chiesa, concepita estrinsecamente come perfecta societas, quanto teologicamente nell’essere segno dell’unità della fede cattolica e nell’esprimere questa unità nella forma del “primato della carità”». In questo servizio il vescovo di Roma «è assistito dallo Spirito (attraverso quella che la tradizione ci aiuta a definire “grazia di stato”), che ne garantisce l’infallibilità allorché si esprime ex cathedra in materia di fede e di morale».

Formazione teologica, sensibilità, cultura

Tale assistenza tuttavia «non viene meno allorché il vescovo di Roma esercita il proprio magistero in forme ordinarie e meno impegnative sul piano dogmatico-dottrinale. L’eresia, in quanto tale, comporta una parcellizzazione e una frattura che risultano strutturalmente incompatibili col ministero del papa». D’altra parte è inevitabile che nel suo magistero il vescovo di Roma, continua Lorizio, «esprima la propria formazione teologica, la propria sensibilità e la propria cultura, sottolineando e proponendo aspetti della fede, che solo un occhio pregiudizialmente ostile può ritenere ereticali e che sarebbero tali solo se venissero assolutizzati ed escludessero altre dimensioni o aspetti della dottrina».

La lezione del Vaticano II

In ogni caso, sviluppando ed interpretando il dogma della infallibilità pontificia nell’orizzonte di una profonda ecclesiologia di comunione, il Vaticano II «ci insegna a non intendere tale prerogativa come un privilegio individuale, ma sempre all’interno della comunità, di cui il vescovo di Roma è “servo dei servi”. I due episodi, storicamente documentati di una sorta di eresia del papa, ci aiutano ad ulteriormente comprendere tale contesto in una profonda intelligenza della fede, che non si lascia turbare da posizioni ideologiche e pregiudiziali».

Il caso di Onorio I

In ordine cronologico, c’è il caso del pontificato di Onorio I (625-638), a cui «è stata attribuita una eresia riguardante il mistero di Cristo e della sua umanità. Tale eresia in cui sarebbe incorso prende il nome di monotelismo, in quanto tendente ad attribuire al Cristo un’unica volontà, ritenendo la sua natura umana totalmente assorbita in quella divina».

La storiografia tende oggi piuttosto a spostare la questione «dal livello dottrinale a quello della opportunità pastorale di un rapporto epistolare nel quale il vescovo di Roma, nel tentativo di evitare ulteriori scissioni nella chiesa, sembrava adottare posizioni ereticali. A tal proposito va comunque osservato che anche da parte di quanti (il tutto accade successivamente alla sua morte) lo consideravano diremmo oggi border line non è stata mai ritenuta vacante la sede durante il suo pontificato e che quindi il periodo nel quale lo ha esercitato viene comunque considerato un anello della catena della successione petrina nella serie dei vescovi di Roma».

Il caso di Giovanni XXII

L’altro caso, sottolinea Lorizio, riguarda Giovanni XXII (1316-1334) «e alcuni sermoni da lui pronunciati relativamente al destino delle anime dei defunti fra la morte e il giudizio universale (escatologia intermedia) che il papa sembrava negare, ritenendo che l’unico giudizio e la relativa sorte di salvezza o di condanna fosse quello finale. Giovanni XXII sostenne l’opinione che le anime dei defunti dimoranti “sotto l’altare di Dio” (Apocalisse 6,9) non ricevessero il Giudizio subito dopo la morte ma venissero ammesse alla piena beatitudine o fossero condannate alla pena eterna unicamente dopo il Giudizio Universale».

Giovanni XXII presentò questa sua concezione soprattutto in tre omelie e in una dissertazione. Il re Filippo VI sottopose questi testi all’esame dall’Inquisizione. Da parte sua il pontefice «convocò una commissione di cardinali e di teologi, che il 3 gennaio 1334 in concistoro lo indusse a dichiarare che avrebbe revocato la sua concezione,se essa fosse stata trovata in contrapposizione alla comune dottrina della chiesa. Negli ultimi giorni della sua vita scrisse la bolla Ne super his, in cui ritrattava questa ipotesi teologica, espressa non ex cathedra, ma come semplice opinione personale».

«Quest’ultimo caso, ma anche per certi aspetti il precedente – conclude il docente di Teologia – mostrano come l’infallibilità vada pensata in un orizzonte ecclesiale prima che personale e come la fiducia nell’azione dello Spirito debba condurre il credente alla convinzione secondo cui si instaurano nella comunità dei meccanismi di correzione di chiunque, anche del vescovo di Roma, finalizzati all’esclusiva salvaguardia della purezza del Vangelo e alla salus animarum».

Le accuse a Papa Francesco

Venendo ai nostri giorni, anche Papa Francesco ha dovuto subire, in più occasioni, accuse di eresia.

Nel 2017, sul sito correctiofilialis.org, è apparso il testo di una lettera di 25 pagine firmata da sacerdoti e studiosi laici cattolici. In essa si dichiarava che il papa, mediante la sua Esortazione Apostolica Amoris laetitia e mediante altri parole, atti e omissioni ad essa collegate, ha sostenuto 7 posizioni eretiche, riguardanti il matrimonio, la vita morale e la recezione dei sacramenti, e ha causato la diffusione di queste opinioni eretiche nella Chiesa Cattolica (AdnKronos, 25 settembre 2017). 

PAPIEŻ FRANCISZEK
ANGELO CARCONI/AFP/East News

La Pachamama

Nel 2019, durante il Sinodo per l’Amazzonia, un centinaio di laici e chierici hanno firmato un nuovo documento. «Noi sottoscritti chierici, studiosi e intellettuali cattolici – si legge – protestiamo e condanniamo gli atti sacrileghi e superstiziosi commessi da Papa Francesco, il successore di Pietro, durante il recente Sinodo sull’Amazzonia tenutosi a Roma». A loro giudizio, il Papa si è macchiato, infatti, di «gravi peccati» e anche chi dentro la Chiesa lo seguirà rischia «la dannazione eterna».

Non si tratta di un’accusa generica, ma abbastanza circostanziata. Gli studiosi puntano il dito contro quelli che indicano come sei «atti sacrileghi», tutti legati a quella che definiscono come «l’adorazione idolatrica della dea pagana Pachamama». Si tratta della statuetta che ignoti sottrassero durante il Sinodo sull’Amazzonia dalla chiesa di Santa Maria in Traspontina, a due passi dalla Basilica di San Pietro, e gettarono nel fiume Tevere. E che fu poi ripescata dai carabinieri.

Francesco: prego per chi mi definisce eretico

Papa Francesco commentava così, con un gruppo di gesuiti, durante il suo viaggio apostolico in Cile, le accuse nei suoi confronti: «Alcune resistenze vengono da persone che credono di possedere la vera dottrina e ti accusano di essere eretico. Quando in queste persone, per quel che dicono o scrivono, non trovo bontà spirituale, io semplicemente prego per loro».

Le «resistenze» dopo il Vaticano II, tuttora presenti, hanno questo significato: «relativizzare, annacquare il Concilio». «Mi dispiace ancora di più – rincarava il papa – quando qualcuno si arruola in una campagna di resistenza. E purtroppo vedo anche questo. Non posso negare che ce ne siano, di resistenze. Le vedo e le conosco» (Aleteia, 28 maggio 2018).


EUCARISTIA, COMUNIONE, SAN FILIPPO NERI

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