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Il segreto di Viktor Frankl per sopravvivere nei lager: buonumore e tante risate!

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 30/06/20

Lo psicologo visse tre anni nei campi di concentramento: l'umorismo, secondo lui, era il migliore antidoto contro la sofferenza. Fu così che scampò all'Olocausto

Ridere è tutt’altro che un “mestiere” per stolti. Anzi ha delle proprietà benefiche che in molti ignorano. E sopratutto aiuta ad accogliere la sofferenza, il turbamento in maniera molto più serena. Come fece lo psicologo Victor Frankl, che usò l’arma dell’umorismo per allietare la sua permanenza nei lager nazisti.

Se ridiamo troppo ci scambiano per stolti?

«”Il riso abbonda sulla bocca degli stolti”». Quante volte lo abbiamo sentito dire! E quante volte abbiamo perciò rinunciato, senza che neanche ce ne accorgessimo, a coltivare una delle più significative risorse dell’essere umano: la capacità di autodistanziarsi, secondo quanto Viktor Frankl affermava, ovvero la capacità, tutta umana, di poter fare dell’umorismo», spiega Paola Versari, psicoterapeuta e coordinatrice Gruppo Logoumoristi dell’Alaef, Associazione di Logoterapia e Analisi Esistenziale Frankliana.

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unsplash CC

Sinonimo di vita vacua e superficiale

La fatica del ridere, evidenzia la psicoterapeuta, «rimanda senz’altro a questa resistenza – appresa fin dai tempi dei banchi di scuola – a fare dell’umorismo». Tutto questo «perché il ridere è stato spesso confuso con una modalità di approccio alla vita vacua e superficiale, visto come un elemento di distrazione, più che di costruzione. Un inciampo stupidotto da evitare, al fine di poter davvero prendere la vita sul serio».

Agelasti vs Comici

Un grande compositore, Chopin, prosegue Versari, «sosteneva però il contrario, e cioè ‘che chi non ride non è una persona seria’. Come lui in diversi, per fortuna, l’hanno pensata allo stesso modo. Ma molti altri, gli agelasti, i nemici giurati del ridere, si sono accaniti con tutte le forze contro di esso, ieri come oggi. Unica eccezione: i comici. Un ridere a senso unico, un produttore e un consumatore. Non una circolarità del ridere, dove ognuno è attore e spettatore».

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AFP

Scuola di umorismo

Il ridere, o meglio, il saper fare dell’umorismo, «in realtà, è una cosa molto seria, che purtroppo nessuno insegna. L’umorismo infatti si può imparare, ed è un atteggiamento cognitivo ed esistenziale nei confronti della vita, ancor prima che emozionale: si dovrebbe imparare a fare dell’umorismo per la semplice ragione che … di ogni cosa si può e si deve ridere«.

Addolcisce la sofferenza

Il ridere, il fare dell’umorismo, evidenzia Versari, è «uno sguardo sulla vita, e su quanto ci accade, cristallino che consente di vedere al di là della miseria umana, del limite nel quale siamo immersi. Si ride della fragilità umana e mentre si ride di essa, ci si eleva oltre di essa. L’umorismo è uno slancio che consente di volare più alto. Si ride della sofferenza. Anzi: l’umorismo si genera dalla sofferenza. Non allontana né fa dimenticare il dolore, ma consente di affrontarlo con uno sguardo più nitido, capace di prendere le distanze, anche solo per un attimo, da uno stato d’animo distruttivo che rischierebbe di tenerci sotto scacco».

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© Antoine Mekary / ALETEIA
Un Papa che sa e ama ridere e sorridere!

Frankl nei lager

Viktor Frankl, prigioniero per tre anni nei campi di sterminio, aveva capito bene questo e sosteneva che l’umorismo è capace di dischiudere anche l’orizzonte della vera libertà dell’uomo. «L’uomo – scriveva – non potrà mai essere “libero da” i condizionamenti, ma l’uomo è “libero per” assumere un atteggiamento nei confronti dei condizionamenti».

Si può allora imparare a stravolgere, con lo sguardo aperto dell’umorismo, «quanto ci travolge, trovando nuovi significati alle sofferenze», sentenzia la psicoterapeuta.

La risata dei santi

Può sembrare un paradosso, ma persino i santi spesso hanno utilizzato l’ironia e in particolare l’autoironia «quale modalità privilegiata per combattere le tendenze narcisistiche, così spesso in agguato nell’animo umano».

San Filippo Neri, il santo fiorentino vissuto a Roma, il santo della Gioia, «utilizzava l’autoironia su se stesso come forma di mortificazione e imponeva a molti dei suoi discepoli delle penitenze umoristiche per evitare la trappola dell’autocompiacimento, per rivolgersi verso l’Altro, l’Oltre».

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San Filippo Neri – per rimanere gioiosiQuesto amato apostolo di Roma è stato sacerdote, missionario e fondatore della Congregazione dell'Oratorio. Era solito chiedere: “Quando inizieremo a diventare migliori?”

Viaggio dentro se stessi

Frankl sostiene che l’uomo trova il suo compimento nella misura in cui, uscendo da se stesso, dandosi a qualcosa o qualcuno, realizza dei significati di vita. Come diceva Ionesco: «Dove non c’è umorismo non c’è umanità, dove non c’è umorismo – questa libertà che ci si prende, questo distacco di fronte a noi stessi – c’è il campo di concentramento».

L’umorismo, chiosa Versari, aiuta la persona proprio a fare questo «viaggio di senso e significato».


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