Al tempo dei Padri del deserto c’era un santo monaco eremita. Aveva vissuto a lungo con altri monaci e con un maestro. Poi si era addentrato nel più profondo deserto per vivere una vita di maggiore penitenza.
Tutte le mattine, dopo il risveglio e la preghiera, era obbligato a percorrere una grande distanza per attingere acqua per le necessità della giornata. Il pozzo era lontano e lui sempre più vecchio. Così pensava di trasferirsi in una grotta più vicina alla sorgente.
Un giorno, tornando verso casa con il pesante orcio pieno d’acqua, più affaticato del solito, pensava: «Che bisogno ho di darmi tanta pena? Non è più semplice, più comodo, andare a dimorare vicino al posto dove vado a prendere l’acqua con tanta fatica?». In quel momento sentì un fruscio dietro di sé. Si voltò e vide un giovane che lo seguiva, con un gran libro aperto, contava i suoi passi e scriveva: duemilacento… duemilacentouno… duemilacentodue…
«Chi siete?», gli chiese.
«Io sono l’angelo del Signore – rispose lo sconosciuto –. Ogni volta che voi andate alla sorgente, io sono incaricato di contare i vostri passi, perché ne riceviate un giorno la ricompensa».
Il vecchio monaco trasalì di stupore, ma l’angelo lo rassicurò: «Continua a camminare, non aver paura. Sto annotando i tuoi dolorosi passi sul Libro della Vita. Ricordati: niente va perduto davanti al Signore».
Colto da ammirazione, rispetto e riconoscenza per il suo buon angelo, il servo di Dio, anziché avvicinare la sua cella alla sorgente, la allontanò ancor di più, al fine di accrescere il suo merito.
Un angelo conta anche le nostre buone opere: che il suo ricordo ci incoraggi a fare il bene!
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