Nella vita di coppia ci sono talvolta, dietro a un sorriso di facciata, situazioni fragili o compromesse… Sono frutto di una certa cecità, del piano inclinato di un certo edonismo volto alla ricerca del proprio piacere. Tutti vi incappiamo, regolarmente. È però vero che si tratta di condizioni disperate?
Talvolta, per riprendere quella famosa citazione di Paul Claudel, Dio scrive dritto sulle nostre povere righe storte. Qualche anno fa cercavo una “coppia perfetta” per una conferenza su estratti della Costituzione Apostolica Amoris Lætitia, tra cui Crescere nella carità coniugale, sublime passaggio di Papa Francesco. Ho allora mandato una mail a Benoît e Stéphanie – sposati da sette anni – per proporre loro questa sfida. La sera stessa Benoît mi ha chiamato per dirmi che in quel momento le cose tra loro non andavano affatto bene… Benoît era in una specie di “notte” da circa due anni: era sempre più amareggiato dai difetti di sua moglie o anche solo dalle differenze tra lei e lui. Non ci vedeva affatto chiaro, dubitava anzi di aver scelto la persona giusta. Insomma, tutto lo innervosiva, si sentiva preso in una spirale di sgomento. Vi rassicuro subito: al momento stanno bene, anzi benissimo. Cerchiamo dunque di comprendere il problema che Benoît e Stéphanie hanno vissuto, e cerchiamo di rintracciare i passi che hanno seguito sul cammino verso una nuova luce, verso un nuovo amore.
Evidentemente questa storia è lungi dal descrivere un caso unico. Ci si stupisce spesso di trovare situazioni fragili, dietro a un bel sorriso, situazioni talvolta disperate, e anche da anni. Senza pretendere di rinvenire un denominatore comune a tutte le crisi di coppia, ci sono comunque analogie che possono farci luce. Certo, possono esserci crisi generate da negligenze permanenti o da errori gravi nel modo di gestire la vita di coppia. Possono anche esserci quelle che Papa Francesco chiama “crisi comuni”,
che accadono solitamente in tutti i matrimoni, come la crisi degli inizi, quando bisogna imparare a rendere compatibili le differenze e a distaccarsi dai genitori; o la crisi dell’arrivo del figlio, con le sue nuove sfide emotive; la crisi di allevare un bambino, che cambia le abitudini dei genitori; la crisi dell’adolescenza del figlio, che esige molte energie, destabilizza i genitori e a volte li oppone tra loro; la crisi del “nido vuoto”, che obbliga la coppia a guardare nuovamente a sé stessa; la crisi causata dalla vecchiaia dei genitori dei coniugi, che richiedono più presenza, più attenzioni e decisioni difficili. Sono situazioni esigenti, che provocano paure, sensi di colpa, depressioni o stanchezze che possono intaccare gravemente l’unione.
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E poi ci sono sofferenze quasi normali, causate dalle tappe della vita, alle quali si aggiungono le frustrazioni delle nostre sensibilità umane. L’uomo è stato creato per vivere con Dio. Per forza allora tutto ciò che è incompiuto o fragile può provocare in lui insoddisfazioni, alle quali egli accorda talvolta una troppo grande valenza emotiva. Ad esempio, come spiega Papa Francesco,
la sensazione di non essere completamente corrisposto, le gelosie, le differenze che possono emergere tra i due, l’attrazione suscitata da altre persone, i nuovi interessi che tendono a impossessarsi del cuore, i cambiamenti fisici del coniuge, e tante altre cose che, più che attentati contro l’amore, sono opportunità che invitano a ricrearlo una volta di più.
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La storia di Benoît e Stéphanie si colloca piuttosto nel tipo di crisi legato alle insoddisfazioni. Esse sono sovente frutto di un certo obnubilamento, del piano inclinato di un certo egoismo volto al conseguimento del proprio piacere. Tutti vi incappiamo, e regolarmente.
Queste crisi sono unicamente cattive? Se lo scopo della nostra vita fosse semplicemente la felicità, allora effettivamente tali crisi non sarebbero più che un male da evitare. Se Dio non fosse diventato uomo per offrirci la buona notizia, per spiegarci la vita, per dare senso ai nostri luoghi tenebrosi, e anzi per abitare i luoghi di sofferenza, allora una crisi sarebbe insopportabile. Per un cristiano, però, e ancora di più per una coppia cristiana, lo scopo principale della vita non è la felicità, bensì imparare ad amare e servire. Ogni battezzato accoglie questa vocazione: egli la trova inscritta nel proprio corpo e nella propria anima.
Le coppie poi ne fanno anche una promessa formale, nella quale si consacrano a diventare professionisti nell’arte di amare, nel voler rendere presente sulla terra l’amore vero, l’amore del Cielo, almeno al meglio di quanto possono. E allora questi momenti di crisi non saranno appunto dei passaggi in cui confermare la scelta di un amore più grande, non saranno fasi necessarie per maturare, per andare verso la pienezza della nostra vocazione a diventare un dono per gli altri?
Probabilmente sapete che la parola “crisi” viene dal greco “κρίνειν”, che vuol dire “separare”, “discernere”, “decidere”. Un momento di crisi è un tempo per riflettere, per discernere e per porre una nuova scelta, una scelta rinnovata. Nel mezzo della sua “notte”, Benoît aveva bisogno appunto di questo: rinnovare la propria scelta, purificare lo sguardo sulla moglie, ritrovare la verità dell’amore che non è la propria soddisfazione ma l’accoglienza e il dono di sé. Nella sua teologia del corpo Giovanni Paolo II precisava:
La verità dell’amore degli sposi […] trova la sua conferma non nelle parole espresse mediante il linguaggio del trasporto amoroso […], bensì nelle opzioni e negli atti che assumono tutto il peso dell’esistenza umana nell’unione di entrambi. […] L’amore sostenuto dalla preghiera si rivela più forte della morte.
Giovanni Paolo II, Udienza generale del 27 giugno 1984
La mia ingenua domanda a Benoît di aiutarmi nella preparazione della conferenza gli ha dato la possibilità di fermarsi, di andare al cuore del suo problema e di creare uno spazio di discernimento. Il mio amico ha capito subito che quella domanda era un aiutino mandato dal Cielo. Con Stéphanie si sono messi subito a lavorare su quei passaggi di Amoris lætitia, che hanno trovato essere stati scritti «apposta per loro». Benoît ha deciso di restituire alla moglie il primo posto e di avvicinarsi a Dio. Oggi ogni volta che vive una piccola notte pensa a quella durata due anni e che per la loro coppia è diventata un luogo di incontro intimo e totalmente inatteso col Salvatore. Quella è stata pure la notte che ha segnato l’avvio di una nuova tappa per la vita di coppia, un nuovo battesimo. Essa è diventata per loro un luogo di luce, un porto di rifugio per le crisi future.
Un’ultima parola: mediante il sacramento del matrimonio, le coppie si assumono l’incredibile missione di rendere presente sulla terra l’amore di Gesù, l’amore vero, puro, l’amore dono-di-sé. Esse si consacrano a mostrare la permanenza dell’amore del Salvatore. Allora mi dico: quando una coppia vive una situazione di crisi, una notte dello spirito o dei sensi, se in quel momento gli sposi rinnovano la loro fiducia nel Dio che non li abbandona, se essi rinnovano la loro scelta di fedeltà reciproca, allora essi incarnano la continuità della speranza vissuta da Cristo nel mezzo della sua notte al Getsemani. Così essi riempiono le notti di questo mondo con la speranza, col sì di Gesù, pieno di tenerezza. Nel vostro prossimo momento di notte, vorrei invitarvi ad aprire il Vangelo secondo Matteo (26,36-46), a sedervi di fianco al Maestro e ad accogliere la sua perseveranza, la sua speranza e la sua fedeltà. E vedrete: sarà il suo sì a guarirvi, sarà lui che trasformerà la vostra notte in un luogo di luce nuova, in un nuovo inizio.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]