Il sacerdote romano incoraggia i maturandi: “Questa difficoltà serve, ma serve a che? a prendere chissà che voto? il voto è relativamente importante. Serve perché tu cresca”.
Dio permette che tu arrivi a questo momento per insegnarti la bellezza delle difficoltà.
“Quale bellezza? detta così don Fabio, anche no”. Risponderebbe forse uno qualunque del mezzo milione di ragazzi che oggi ha affrontato e che affronterà nei prossimi giorni l’esame di maturità. Quest’anno molto diverso a causa della sospensione delle lezioni per evitare i contagi da Covid-19. Mi vengono in mente le mie cugine Miriam e Ambra che venerdì varcheranno di nuovo e mai più (da liceali) il cancello delle loro scuole e siederanno intimorite di fronte alla commissione d’esame senza aver potuto, come gli studenti di tutto lo Stivale, completare l’anno. E così hanno dovuto fare a meno della presenza di professori e amici, della bellezza della compagnia e dello scontro, perché come si dice nel film Crash “il contatto ci manca talmente tanto che ci scontriamo con gli altri solo per sentirne la presenza”.
Hanno rinunciato all’allegria degli sbadigli ad ogni cambio d’ora, all’entusiasmo di lezioni indimenticabili, alle figuracce sulle scale, alla strizza di essere interrogati alla cattedra, ai Promessi Sposi letti ad alta voce, alla puzza di chiuso dopo due ore di lezione, alla muffa sul tetto della palestra, all’impresa comica e mitica dei “cento giorni” – quel mix di tradizioni e festeggiamenti che inizia cento giorni prima dell’esame di Stato. E questi sacrifici sono stati una prova grande per loro che non torneranno liceali mai più. Mai più la campanella, il diario con i compiti, la merenda nell’eastpak, i giacchetti legati in vita, improbabili smalti alle unghie. Mai più le felpe due taglie più grandi, le cuffiette condivise durante le ore di buco, gli avanzi di cibo poco healthy spappolato tra le pagine della Divina Commedia, la timidezza sfrontata nei piercing, il corridoio a testa bassa con il cellulare in mano. Mai più, “Prof. non ho capito niente, alle medie nessuno me lo ha spiegato”, mai più “ragazzi, domani resto a casa per prepararmi all’interrogazione”, mai più “dai, vai tu volontaria, così non mi giustifico”.
In realtà il “mai più” di tutti gli studenti dei quinti d’Italia è cominciato a marzo e se lo avessero saputo avrebbero organizzato un ultimo non giorno di scuola, come il buon non compleanno di Alice nel paese delle meraviglie. E non sanno che le meraviglie sono loro, comunque andrà l’esame! In fondo è questo ciò che don Fabio Rosini vuole dire a ciascuno e a tutti.
Le difficoltà servono, ma a cosa?
Questo momento è un momento saporito, importante. (…) Attenti con la paura. Bisogna capire bene cosa succede. Questa è una prova ed la prima vera prova della vostra vita sotto il punto di vista dell’esame. (…) Le prime cose in cui qualcuno ti mette sotto prova in forma ufficiale. (…) Le prove sono molto importanti (…) allora quando l’avversario è forte è più interessante la sfida. (…) Le cose vere sono quelle che sono passate per le difficoltà. Questa difficoltà serve, ma serve a che? a prendere chissà che voto? il voto è relativamente importante. Serve perché tu cresca. Dio permette che tu arrivi a questo momento per insegnarti la bellezza delle difficoltà. Le difficoltà servono. Nelle difficoltà si diventa amici, nelle difficoltà si scopre l’amore delle persone, perché quando sei in difficoltà scopri chi ti vuole bene veramente, nelle difficoltà diventi te stesso, perché ti asciughi, ti semplifichi, togli tutte le cretinate e resti tu. Quindi vuol dire che questo momento è prezioso.
L’esame andrà bene comunque perché tu sarai cresciuto
Cosa spaventa di più dell’esame di maturità? Fare una brutta figura, la famosa scena muta, o impappinarsi esponendo un concetto, eppure spiega don Fabio, si è maturi quando si diventa indipendenti, ovvero quando non si dipende più dal giudizio altrui. Allora siamo soli, verrebbe da pensare… e invece no. Perché ci ricorda il sacerdote…
C’è uno solo che resterà dalla parte tua qualunque cosa farai, Dio Padre che ti vuole tanto bene. Allora vivere con Dio non significa chiedere a Dio che l’esame ti vada bene, ma che ti va bene veramente, che comunque vada tu cresca. Che tu diventi te stesso, te stessa, proprio perché una difficoltà ti asciuga, ti aiuta a essere vero, vera. (…) Questo esame serve te, non servi tu questo esame.