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Dio ci proteggerà?

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Lorena Moscoso - pubblicato il 13/06/20

Dio può senz'altro operare miracoli attraverso le nostre preghiere, ma è anche disposto a percorrere con noi cammini dolorosi che tireranno fuori il meglio di noi stessi

In questo periodo di incertezza di fronte alla pandemia, mi ha sorpreso sentir dire spesso: “Ho fiducia nel fatto che Dio ci proteggerà, non ho paura, io e la mia famiglia staremo bene”.

Non possiamo pensare che le nostre vie siano quelle di Dio. Non abbiamo modo di sapere i modi che Dio sceglie per purificarci, per avvicinarci al Suo progetto, a quello a cui siamo chiamati.

Basta guardare i cristiani delle origini, che avevano sete di sofferenza, anelito di configurasi a Cristo, di avvicinarsi a Lui.

Ancora oggi molti preferiscono la sofferenza, la solitudine, il sacrificio, perfino la malattia, perché sono momenti di maggiore unità con Cristo.

Gli apostoli di Cristo sono arrivati al martirio. Quella sofferenza aveva un proposito: la redenzione del mondo. Come discepoli di Cristo, anche noi siamo chiamati a partecipare anche con la sofferenza a questa redenzione.

Concentriamoci sull’episodio dell’ascensione di Gesù al cielo.

Egli stesso ha detto che non spettava agli apostoli sapere quando Dio avrebbe restaurato il mondo, ma che avrebbero ricevuto il potere dello Spirito Santo quando questi fosse disceso su di loro: “e mi sarete testimoni… fino all’estremità della terra” (Atti 1, 8).

Vuol dire che noi stessi partecipiamo a questa restaurazione del mondo, continuiamo la Sua opera.

Anche San Paolo testimonia il valore della sofferenza dicendo: “Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte” (2 Cor 12, 10).

San Paolo e San Pietro adoravano Cristo sapendo di essere perseguitati per causa Sua. La sofferenza era la presenza del Cristo sofferente in loro e motivo della loro gioia, per essere come il loro Signore.

Il pericolo di questa affermazione che menzionavo all’inizio è che, basando la nostra fiducia su qualcosa di fragile, corriamo il rischio di perdere facilmente la fede se Dio non compie ciò che ci aspettiamo da Lui.

La sicurezza, la pace e la felicità che Dio ci dà sono frutto dell’unità che abbiamo con Lui, guadagnata con una preghiera profonda e una conoscenza sempre maggiore di Colui con cui trattiamo per molto tempo.

Nessuno potrà privarci della gioia di possedere Dio dentro di noi. Come dice Santa Teresa, “Nulla ti turbi, nulla ti spaventi, a chi a Dio non manca nulla”.

La realtà è che tra i turbamenti e i drammi della vita, l’anima che si aggrappa a Dio non muore mai. L’unica paura è la perdita di Dio a causa del peccato.

Molte brave persone sono morte tragicamente. Molti santi hanno vissuto il martirio. Il cristiano è chiamato alla sofferenza per portare avanti l’opera di Cristo.

Gli viene promessa la gioia, il cielo sulla Terra, ma il cielo e il senso di gioia che sperimenta il cristiano sono di un’altra dimensione, non di questo mondo. Nella profondità dell’esperienza di Dio, la sofferenza è un cammino.

È anche vero che attraverso la sofferenza Dio ci toglie del tempo in Purgatorio, perché inizia a purificarci già sulla Terra.

Corriamo tutti dei rischi. Dio può senz’altro operare miracoli attraverso le nostre preghiere, ma è anche disposto a percorrere con noi cammini estremamente dolorosi, sapendo che tireranno fuori il meglio di noi.

La nostra missione non è quella di essere felici sulla Terra, ma di esserlo in cielo, e la prima cosa è raggiungere il cielo attraverso esperienze che trasformano, come la vita stessa.

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