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Come aiutare i figli ad affrontare la tristezza del periodo post-quarantena/fine scuola

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Calah Alexander - pubblicato il 10/06/20

Come genitori, vorremmo confortare i nostri figli quando soffrono, ma potrebbe essere più utile lasciar loro uno spazio per sentirsi tristi

L’anno scolastico più strano di sempre è ufficialmente terminato. L’estate – in genere attesa con ansia e ampiamente festeggiata – è arrivata in sordina. La maggior parte delle scuole ha fatto del proprio meglio per dare agli studenti un senso di festa, sapendo bene che sono rimasti separati dai compagni e dagli insegnanti in questi tre mesi di lezioni a distanza.

Se apprezzo profondamente le motivazioni degli insegnanti, le sfilate e i saluti dalla macchina sembravano solo approfondire il senso latente di irrealtà, estraneità e dolore che ci ha avvolti da marzo. I miei figli hanno messo su un bel sorriso, salutando i loro insegnanti, ma non appena ci siamo allontanati dalla scuola la maschera è caduta e i loro occhi si sono riempiti di lacrime.

Volevo confortarli, ma qualsiasi cosa avessi detto sarebbe suonata falsa. Dopo tutto, anche i miei occhi erano pieni di lacrime fin dal momento in cui eravamo entrati nell’area della scuola. Ho invece detto ciò che era vero e che tutti sapevamo: “Ragazzi, che tristezza!” Hanno assentito vigorosamente, asciugandosi le lacrime solo per vederne sgorgare altre. Abbiamo trascorso il resto della giornata in quell’alone strano di dolore che aleggiava fin dalla quarantena e ora ci aveva avvolti completamente.

Sì, stiamo tutti bene. Nessuno nella nostra famiglia ha perso il lavoro. Sono estremamente grata per quanto siamo benedetti per il fatto di aver attraversato indenni questa prova, ma nessuno di noi non ha avuto delle conseguenze.

Credo che costringere i miei figli a concentrarsi solo sulle cose positive non avrebbe fatto loro un favore. Hanno perso tante cose in questi mesi – ciascuno di loro aveva dei riti di passaggio che ha perso… per sempre. Le amicizie sono state messe in pausa, gli sport cancellati, e la gioia e la luce della primavera sono scomparse dal 2020.

E allora, anziché cercare di confortarli, ho trascorso il primo weekend estivo affondando nel dolore con loro. Ho chiesto loro di dirmi di cosa avevano sentito maggiormente la mancanza in questi tre mesi. Il mio obiettivo era che riconoscessero i loro sentimenti di dolore e perdita. Questi sentimenti sono reali, e la gratitudine che proviamo per il fatto di essere sani e di avere un impiego non dovrebbe diminuire la tristezza per le cose perdute.

Tenere sia la gratitudine che il dolore nella mente e nel cuore è importante per sviluppare l’intelligenza emotiva e la resilienza. Dopo tutto, nessuno supera una perdita soffocando le proprie emozioni o fingendo che una cosa non sia mai accaduta. E allora ho fatto spazio al loro dolore e alla loro tristezza, e ho permesso loro di riempire quel vuoto con qualsiasi cosa di cui avessero bisogno.

Ad essere onesti, non ero certa che fosse la strategia migliore. Una parte di me voleva istintivamente essere positiva, concentrarsi sui progetti per il futuro nel tentativo di dimenticare questa folle primavera, ma l’esperienza mi ha insegnato che ignorare il dolore non fa che aggravarlo – prima o poi va affrontato. E allora ho scelto di farlo subito.

Alla fine è stata un’esperienza di guarigione per tutti noi. Permettere ai miei figli di essere tristi e di esprimere il loro dolore riconoscendo al contempo la legittimità delle loro emozioni ci ha dato in qualche modo pace. Sembra che abbiano imparato (molto più facilmente di me) che una volta che ci si dà il permesso di essere tristi l’unica scelta è andare avanti.

Ed è quello che hanno fatto. Hanno iniziato a parlare di gite estive in bicicletta, puntate in biblioteca e pigiama party con gli amici. Iniziano a non vedere l’ora che ricominci l’anno scolastico e di condividere con gli amici le storie sulla quarantena. Mia figlia in particolare non vede l’ora di raccontare della presentazione di Zoom in cui ha girato la telecamera nella mia direzione mentre ero ancora in pigiama alle undici del mattino, e sono dovuta rimanere accoccolata sotto il tavolo per i dieci minuti della presentazione.

So che è difficile veder soffrire i nostri figli, e che va contro il nostro istinto non confortarli o distrarli da quel dolore, ma penso che sia importante che come genitori ci prendiamo un po’ di tempo per permettere loro di addolorarsi per questo anno surreale – e per permettere anche a noi stessi di soffrire. È come togliere il veleno da una ferita – dobbiamo farlo per provare vera gratitudine per le esperienze che abbiamo vissuto durante la quarantena, e per tutte quelle che vivremo in futuro.

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