Come genitori, vorremmo confortare i nostri figli quando soffrono, ma potrebbe essere più utile lasciar loro uno spazio per sentirsi tristi
L’anno scolastico più strano di sempre è ufficialmente terminato. L’estate – in genere attesa con ansia e ampiamente festeggiata – è arrivata in sordina. La maggior parte delle scuole ha fatto del proprio meglio per dare agli studenti un senso di festa, sapendo bene che sono rimasti separati dai compagni e dagli insegnanti in questi tre mesi di lezioni a distanza.
Se apprezzo profondamente le motivazioni degli insegnanti, le sfilate e i saluti dalla macchina sembravano solo approfondire il senso latente di irrealtà, estraneità e dolore che ci ha avvolti da marzo. I miei figli hanno messo su un bel sorriso, salutando i loro insegnanti, ma non appena ci siamo allontanati dalla scuola la maschera è caduta e i loro occhi si sono riempiti di lacrime.
Volevo confortarli, ma qualsiasi cosa avessi detto sarebbe suonata falsa. Dopo tutto, anche i miei occhi erano pieni di lacrime fin dal momento in cui eravamo entrati nell’area della scuola. Ho invece detto ciò che era vero e che tutti sapevamo: “Ragazzi, che tristezza!” Hanno assentito vigorosamente, asciugandosi le lacrime solo per vederne sgorgare altre. Abbiamo trascorso il resto della giornata in quell’alone strano di dolore che aleggiava fin dalla quarantena e ora ci aveva avvolti completamente.
Sì, stiamo tutti bene. Nessuno nella nostra famiglia ha perso il lavoro. Sono estremamente grata per quanto siamo benedetti per il fatto di aver attraversato indenni questa prova, ma nessuno di noi non ha avuto delle conseguenze.
Credo che costringere i miei figli a concentrarsi solo sulle cose positive non avrebbe fatto loro un favore. Hanno perso tante cose in questi mesi – ciascuno di loro aveva dei riti di passaggio che ha perso… per sempre. Le amicizie sono state messe in pausa, gli sport cancellati, e la gioia e la luce della primavera sono scomparse dal 2020.