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Come partecipano le confessioni religiose alle proteste per la morte di George Floyd?

GEORGE FLOYD

Stephen Maturen/Getty Images/AFP

Jaime Septién - pubblicato il 05/06/20

Sacerdoti cattolici hanno marciato con gli studenti delle università storicamente nere ad Atlanta

Le proteste per la morte di George Floyd sono arrivate a unire quasi tutte le confessioni religiose sotto un unico imperativo: basta con il razzismo; la vita degli afroamericani (e per estensione degli ispanici e degli asiatici, di africani o musulmani) conta, e conta quanto quella dei bianchi.

Nelle proteste pacifiche ci sono state religiose che hanno subìto sulla propria carne le conseguenze della repressione, come la reverenda Laura Young, della Chiesa metodista, colpita sabato 30 maggio con gas urticante durante una manifestazione contro il razzismo a Columbus (Ohio).

“Sono stata colpita col gas urticante sul volto, intenzionalmente, senza alcun preavviso, dalla polizia”, ha riferito la Young al Religion News Service. “Come chierici, dobbiamo sostenere gli emarginati (…). Se mettiamo in azione la nostra fede, una frase che molti metodisti amano usare, quale modo migliore di farlo se non quando ce n’è davvero bisogno?”

Azione aggressiva e improvvisa

Alan Dicken, ministro dei Discepoli di Cristo, ha detto all’RNS di essere stato colpito da gas lacrimogeni mentre partecipava a una manifestazione a Louisville, nel Kentucky, venerdì 29 maggio. Il giorno dopo è stato colpito con proiettili non letali a Cincinnati mentre cercava di calmare i manifestanti. I poliziotti hanno aperto il fuoco e lo hanno colpito varie volte. “Non avevo mai assistito a un’azione tanto aggressiva senza preavviso”, ha confessato Dicken, che in passato ha già partecipato a varie manifestazioni contro il razzismo.

In altri Stati, molti leader religiosi si sono uniti alle manifestazioni. I sacerdoti cattolici hanno marciato con gli studenti delle università storicamente nere ad Atlanta. A Minneapolis, il rabbino Michael Adam Latz è stato presente a varie manifestazioni, sostenendo che “l’ebraismo richiede che parliamo contro il razzismo, la polizia razzista e i sistemi razzisti che hanno assassinato George Floyd”.

Il reverendo Willie Francois, della Chiesa Battista Mount Zion a Pleasantville, New Jersey, che ha assistito a una marcia ad Atlantic City, ha dichiarato: “Resteremo in ginocchio in tutti i luoghi finché smetteranno di inginocchiarsi sul nostro collo”.

Ginocchio a terra

La Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti ha diffuso un duro comunicato contro il razzismo, e il suo presidente, l’arcivescovo di Los Angeles, José H. Gómez, ha sottolineato che “l’assassinio di George Floyd è stato insensato e brutale, un peccato che grida al cielo per ottenere giustizia”.

Il vescovo della diocesi di El Paso (Texas), Mark Seitz, uno dei massimi difensori degli immigrati ispanici, si è unito questo lunedì, accompagnato da vari sacerdoti, al gesto di trascorrere nove minuti in silnzio, pregando come segno di denuncia contro la morte di George Floyd, morto asfissiato dopo aver trascorso tra gli otto e i nove minuti immobilizzato a terra con il ginocchio del poliziotto di Minneapolis Derek Chauvin sul collo, cosa che lo ha ucciso.

Il gesto di inginocchiarsi è diventato un segno di protesta della comunità afroamericana contro il razzismo imperante nel Paese da quando nel 2017 il giocatore dei 49’S di San Francisco Colin Kaepernick ha giustificato la sua decisione di non cantare l’inno degli Stati Uniti in piedi prima di iniziare una partita di football americano dicendo: “Non mi metterò in piedi per dimostrare orgoglio per la bandiera di un Paese che opprime le persone di colore”.

Le proteste più dure in 52 anni

Questo gesto, insieme alla consegna “BLM” (“Black Lives Matter”, “Le Vite Nere Contano”, ndr) o “Mani in alto”, “Non riesco a respirare” e altre delle frasi che ha potuto pronunciare Floyd mentre era a terra schiacciato dal ginocchio di Chauvin (trasferito in un carcere di massima sicurezza nello Stato del Minnesota), caratterizza le proteste più dure contro il razzismo negli Stati Uniti da quando una pallottola ha ucciso Martin Luther King Jr. il 4 aprile 1968 a Memphis, nel Tennessee.

Le proteste hanno coinvolto quasi cento città in tutto il territorio dell’Unione Americana. Secondo gli esperti, la dimensione di questa ondata obbedisce ad almeno quattro fattori: la morte di Floyd è uno dei tanti decessi di afroamericani per mano dei poliziotti; il razzismo strutturale; la pandemia del coronavirus, che ha colpito duramente la comunità di colore; la risposta della Casa Bianca alle proteste.

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