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Quando il futuro Giovanni Paolo II salvò una ragazzina liberata da un campo di lavoro

JAN PAWEŁ II, MODLITWA

CHIANURA / Rex Features/EAST NEWS

Aleteia - pubblicato il 04/06/20

Karol Wojtyła, all'epoca seminarista, la sollevò e la portò in braccio per tre chilometri

Era il gennaio 1945. Edith Zierer, di 13 anni, lasciò il campo di lavoro tedesco nella città polacca di Częstochowa. Non sapeva che tutti i membri della sua famiglia erano stati uccisi dai Tedeschi. Non riusciva a camminare. Un giovane seminarista l’aiutò alla stazione. Quel seminarista era Karol Wojtyła.

Se non fosse stato per lui, Edith sarebbe morta di freddo e di fame

Dopo che ebbe lasciato il campo, Edith entrò in un treno che trasportava carbone. Non aveva più forze. Scese alla stazione ferroviaria di Jędrzejów, nella provincia di Świętokrzyskie. Completamente esausta, cadde a terra.

Rimase lì, affamata e infreddolita, vestita solo con la leggera uniforme a strisce del campo di lavoro infestata dai pidocchi. Nessuno guardava nella sua direzione, e lei non riusciva a muoversi. Solo un uomo si fermò per aiutarla.

Come ha ricordato in seguito Edith, era forte e di bell’aspetto. Chiese alla ragazza cosa facesse in un posto come quello, e lei rispose che stava cercando di arrivare a Cracovia. Le si riempirono gli occhi di lacrime quando Karol Wojtyła le chiese come si chiamasse. Da tanto tempo nessuno la chiamava più per nome. Negli ultimi tempi non era stata altro che un numero. L’uomo scomparve per un po’, tornando poi con un tè caldo, pane e formaggio.

Durante l’occupazione nazista, Karol Wojtyła si stava preparando al sacerdozio. Divenuto Papa, ricordando il difficile periodo della guerra osservava che i suoi studi avevano avuto luogo in parte nella cava della Solvay a Cracovia e durante le lezioni clandestine nel palazzo arcivescovile di Cracovia. Il 1° novembre 1946, Karol Wojtyła venne ordinato sacerdote dal cardinale Adam Sapieha.

La portò in braccio e le diede il suo cappotto

“Cerca di alzarti”, disse l’uomo a Edith, ma lei non ci riusciva. Era così esausta che crollò a terra. Vedendo questo, il seminarista la prese in braccio e la portò per tre chilometri fino alla stazione da cui stava partendo il treno per Cracovia.

Gli altri ebrei che si trovavano sullo stesso treno nel carro bestiame la misero in guardia dicendo che il seminarista magari l’avrebbe voluta portare in convento. Wojtyła coprì Edith con un cappotto. La ragazza era spaventatissima.

Quando il treno si fermò, lei scese e si nascose dietro alle cisterne del latte. Wojtyła la chiamò con la versione polacca del suo nome: “Edyta, Edyta”. Edith ha ricordato questo nome per sempre.

I difficili anni di guerra

Edith era sospettosa. Nonostante la sua giovanissima età aveva vissuto già molto nella vita. Si era spostata da un posto all’altro con la sua famiglia. Dopo lo scoppio della guerra si era trasferita con la famiglia nella Polonia orientale e poi a Cracovia. Suo padre aveva dovuto nascondersi, visto che il suo aspetto era marcatamente semitico. Edith, invece, non sembrava ebrea, ottenne dei documenti falsi e cercò di condurre una vita normale. Un giorno uscì e non tornò mai a casa. Arrestata insieme alla sorella Judith, venne trasferita nel ghetto, dove notarono il padre in una strada. Sfortunatamente, ben presto tutta la famiglia venne spedita nel campo di concentramento di Płaszow, dove venne separata. Edith prese in treno una direzione diversa da quella del resto della famiglia. Il treno si fermò a Skarżysko Kamienna, dove gli occupanti vennero divisi in due gruppi.

Edith sapeva bene il tedesco, e venne assegnata al lavoro in una fabbrica di munizioni. Il duro lavoro la prostrò. Moriva di fame, ma le richieste dei tedeschi erano sempre superiori.

Nel 1943 venne portata nel campo di Częstochowa, e anche lì i prigionieri ebrei dovevano lavorare nella fabbrica di munizioni.

Nel 1945 il campo venne liberato dai Russi. Edith voleva ritrovare i propri cari. Era completamente sola, ma ancora non lo sapeva. I suoi genitori erano morti a Dachau, e la sorella era stata uccisa ad Auschwitz. Venne aiutata dal seminarista Karol Wojtyła.

Edith ricordava benissimo il suo nome. Per tutta la vita gli è stata grata per averla salvata. Entrambi non avevano famiglia. Il giovane seminarista aveva già perso la madre, il padre e il fratello, come Edith. Quando, nel 1978, ha sentito che Wojtyła era diventato Papa, è stata sopraffatta dalla gioia e ha pianto di felicità. All’epoca viveva in Israele, avendo lasciato la Polonia nel 1951. Si era creata una famiglia, era sposata, madre e lavorava come tecnico in uno studio dentistico. Scrisse una lettera a Giovanni Paolo II e lo ringraziò per averle salvato la vita.

Parli forte, sono anziano

Il Papa si ricordava di lei, e l’ha invitata a fargli visita in Vaticano. Si sono incontrati per la prima volta dopo tanti anni nel 1998. Il Santo Padre le ha detto “Parla forte, ragazza. Sono anziano”. L’ha poi benedetta e le ha detto: “Torna, figlia mia”.

Nel 2000, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa, Giovanni Paolo II ha visitato l’istituto Yad Vashem e vi ha deposto una corona di fiori. Rivolgendosi a lui, una donna gli ha detto: “Chi salva una vita, salva il mondo intero”. Questo motto è scritto sulla medaglia conferita ai Giusti tra le Nazioni, coloro che hanno salvato la vita degli ebrei durante l’Olocausto.

Edith ha poi scritto al Papa e lui le ha risposto, ma non si sono incontrati di nuovo. Edith è morta nel 2014.

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