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Il cardinale Zuppi: durante la pandemia troppe polemiche, ora umiltà per tornare come prima

monsignor matteo zuppi

Il cardinale Matteo Zuppi

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 04/06/20

Il vescovo di Bologna: "Eravamo sconsiderati, come i narcisisti e gli arroganti. Come chi pensa di potercela fare sempre, comunque. La normalità che dobbiamo presto conquistare è quella di una vita cambiata"

«Non si può attribuire a Dio la responsabilità degli umani. Anche sul virus, un po’ di responsabilità ce la dobbiamo prendere. Dobbiamo chiederci “dove è finito l’uomo”. Abbiamo sfruttato tutte le risorse, ambientali e umane, per edificare una società fragile e vorace. E non sappiamo unirci neanche di fronte alla più grande tragedia del nostro tempo. Soltanto insieme si può pensare di affrontare una sfida come questa».

Lo sostiene il cardinale Matteo Zuppi, vescovo di Bologna, in una intervista concessa a Walter Veltroni per il Corriere della Sera (4 giugno).

“I muri non ci difendono, il virus invisibile dilaga”

«Anche in questi mesi, ovunque – prosegue il vescovo di Bologna – hanno prevalso i protagonismi, le furbizie, le polemiche astiose, il piccolo cabotaggio. Costruiamo i muri, ma ovviamente i muri non ci difendono e il virus invisibile dilaga. Ci convince a costruire muri e poi li irride. Questa crisi ci ha messo di nuovo, come succede in tempi di guerra, a confronto con la morte. È un confronto alto e necessario, per la vita. È la coscienza di un limite naturale, chi non lo affronta vive male, vive in maniera sconsiderata».

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Vergani Fotografia | Shutterstock

“Un Dio che si è preso il virus della vita”

Questo, sottolinea Zuppi, «ci aiuta a stringerci di più, a ritrovare parole più vere, ad essere più essenziali. E credo anche a dare una prospettiva spirituale. La nostra fede ci parla di un Dio che si è preso il virus della vita, perché, nascendo, ha accettato la vulnerabilità. È un Dio, non dimentichiamolo, crocifisso, che ci aiuta a vedere e sopportare le sofferenze».

“Sento che non è un estraneo, è vicino a me”

È un Dio, evidenzia il cardinale, che «aiuta ad affrontare il male. Capisco, sento che non è un estraneo ma che è qui, vicino a me. Conosce il dolore. Viene spesso usata una frase: “Io non ci credo, ma mi manca tantissimo”. È una formulazione bellissima, che esprime l’umiltà del dubbio, il desiderio di ricerca. Il virus ci ha forse aiutato anche a porci le domande vere della vita. E della vita oltre la vita».

“Umiltà nel cercare il futuro”

“L’obiettivo che ci dobbiamo proporre è di tornare alla vita precedente?”, chiede il giornalista. Il vescovo puntualizza: «Tornare alla vita precedente, cambiando noi stessi e ricominciando a cambiare il mondo. Certamente tante cose saranno diverse e di questo dobbiamo farne un tesoro di crescita e di consapevolezza, ma la virtù che più ci servirà, per il tempo che sta arrivando, è l’umiltà nel cercare il futuro».

La lezione dei nostri genitori

Umiltà, osserva Zuppi, «perché questa pandemia che ha messo in ginocchio il mondo è stata una grande umiliazione per tutti. La generazione dei nostri genitori l’Apocalisse l’aveva nella testa e nel cuore. Ma quegli italiani si misero a costruire con umiltà le case per i loro figli e il benessere per i figli dei loro figli. Penso che questa umiltà ci servirà per capire che noi stiamo bene solo se stanno bene gli altri. Che ogni ingiustizia produce dolore collettivi. Eravamo fragili e arroganti, prima. Di fatto, perché è da arroganti vedere e non fare niente, accorgersi e rimandare. Eravamo sconsiderati, come i narcisisti e gli arroganti. Come chi pensa di potercela fare sempre, comunque. La normalità che dobbiamo presto conquistare è quella di una vita cambiata».

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AFP
Alex McBride / AFP

Tempo perso e occasioni mancate

Al cardinale non preoccupa, il distanziamento sociale. E’ un ostacolo superabile per tornare alla “nuova vita”.

«Il rischio c’è, se lo viviamo non per combattere il virus ma per pensare di farcela da soli o per combattere gli altri,è che aumenti ulteriormente l’ingiustizia. Oggi crescono le differenze, le diseguaglianze e questo pesa sulla vita e la sicurezza di ciascuno. Quando ci si ritrova nell’apocalisse, si capisce quanto tempo si è perso e quante occasioni si sono mancate. Ora non si può rimandare più. I nostri genitori vedevano le macerie fisiche e quelle morali. Capirono che bisognava ripartire e cambiare, che non si poteva perdere tempo».




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