Il cappellano della Prytanée nazionale militare de La Flèche rende omaggio all’“ex allievo” Charles de Foucauld. Il primo Saint-Cyrien portato agli altari seppe incarnare l’ideale dell’ufficiale impegnandosi nella via più radicale del sacrificio e della rinuncia… Fu quello il suo singolare pennacchio, cresciuto misteriosamente nel nutriente humus della cultura sanciriana.«Che può mai venire di buono da Saint-Cyr?»: se stiamo a sentire il padre Boucher, postulatore della causa di canonizzazione di Charles de Foucauld, «non molto», o di certo niente di buono. Sebbene questa sia una parte della vita di Charles accuratamente omessa nelle agiografie, è proprio a questo periodo oscuro trascorso alla Spéciale [la Scuola Speciale Militare di St-Cyr, N.d.R.], del quale la storia non riterrà che la coloritura goliardica e debosciata, la lenta discesa agli inferi di un uomo che già tutto condanna ad essere nulla a forza di trovare una virtù nel perdere ogni cosa – onore, amici, donne, denaro… perfino la sua famiglia.
Mai solo di fronte alla sua vocazione
Eppure sarebbe misconoscere la forza dei simboli e delle tradizioni che irrigano l’età spensierata della giovinezza d’un uomo che – lungo notti trascorse nell’attesa glaciale e interminabile dello stridulo trascinarsi di catene al suolo; in ore passate a mandare a memoria pochi testi sensati ove s’imprima l’ideale di tutta una vita – impara a diventare ciò che aspira ad essere… talvolta anche senza saperlo. Sarebbe anzi misconoscere la stessa Provvidenza divina per ciascuno dei suoi figli «perché nessuno vada perduto». Malgrado l’ingegnosità degli sforzi che mette in opera, l’uomo non si trova allora mai completamente solo di fronte alla sua vocazione. Tale è probabilmente il caso di Charles de Foucauld che, da Saint-Cyr a Saumur, esplora fino al parossismo tutto ciò di cui l’uomo è capace in fatto di bassezza e di disgrazia. Tale è pure l’insegnamento dell’Evangelo, nel quale Cristo ci ricorda l’attenzione permanente di Dio Padre per ciascuno di noi.
È dunque un privilegio singolare, il poter onorare questo primo ex allievo del Prytanée giunto alla gloria… degli altari! Gloria con la quale la Chiesa onora oggi l’umile grandezza di uno che ci assomiglia: san Charles de Foucauld. Gloria del sanciriano licenzioso, del viscerale cavaliere del IV reggimento ussari, poi del IV RCA… diventato l’umile apostolo della carità universale di Dio nel cuore del deserto di Hoggar.
Il pennacchio del luogotenente De Foucauld
Scrutando l’esempio che il nuovo san Charles ci ha lasciato, forse potremo interrogarci anche noi sul pennacchio, tanto caro alla Spéciale: che cosa può significare per noi oggi? Quale fu il pennacchio del luogotenente De Foucauld, diventato l’umile Charles de Jésus?
A vista umana, niente potrebbe lasciarci credere che ci sia stato un qualsivoglia pennacchio in questa vita di abbandono nelle mani del Padre, in questa vita di solitudine nei recessi più remoti di un deserto ostile! Eppure, guardando più da vicino, anche nella sua solitudine monastica Charles ha saputo incarnare l’ideale dell’ufficiale sanciriano: risolutamente impegnato nella via più radicale del sacrificio e della rinuncia, insomma nella via della santità. Come ebbe a dire egli stesso: «Da quando ho saputo che un Dio c’era, ho compreso che non avrei potuto servire se non Lui solo». Conforme all’ideale di servizio e di grandezza di Saint-Cyr, egli impegna tutto il suo essere (corpo, anima e intelligenza) nella sequela Christi, senza compromessi né mezze misure… proprio come altri si sarebbero gettati – sguainata la sciabola, bianchi i guanti e il casuario – contro le linee nemiche per quel servizio della Francia che cristallizza le loro aspirazioni più nobili e più generose.
La solitudine del capo
Quando parliamo della solitudine nella quale Charles de Foucauld visse la sua vita d’offerta, come non pensare alla solitudine del capo? Solitudine di Cristo, anzitutto, nel momento di compiere l’atto supremo della Storia umana nel suo Mistero pasquale; solitudine del capo, a seguire, mentre sa che di lì a poche ore invierà il suo reggimento, i suoi subalterni, a un assalto dal quale alcuni non torneranno.
È tutto il fertile terreno della cultura sanciriana che traspare nell’attitudine di Charles de Foucauld.
È la solitudine, pure, del “bazar”, capo in erba che sente di lontano il rumore inquietante delle “gravi catene”, annunciatrici della sua iniziazione notturna alla scienza trasmessa dai “suoi officiali”. Necessaria trasmissione di un sapere per effetto del quale la truppa si fa un sol uomo e lascia emergere dalle tenebre della notte la sagoma di uomini ritti, rischiarati dalla luce di una torcia che “i loro ufficiali” trasmettono loro come il testimone dell’ideale e delle tradizioni che non devono spegnersi. In un certo senso, Charles ha spinto al parossismo quest’iniziazione: nell’incontro con Dio-amore che, nelle tenebre della notte della fede e nella solitudine, è venuto a dilatare il cuore del soldato col fuoco ardente del suo Sacro Cuore.
Ci sono allora dei momenti in cui la solitudine del capo tocca l’esperienza spirituale dell’eremita dell’Atlante, portatrice di sentimenti contrastanti e di intime emozioni: quando il fanone, la bandiera o lo stendardo vengono riconsegnate nelle mani di un altro e la missione è compiuta… o quando le sorti della pace e della ricostruzione dipendono dal genio di alcuni uomini di operare nella violenza come degli artigiani di pace!
Il fecondo terreno della cultura sanciriana
Così è tutto il fecondo terreno della cultura sanciriana che traspare nelle attitudini di Charles de Foucauld, indipendentemente dalla natura di un seme che – apparentemente – avrebbe dovuto dare solo frutti cattivi. In lui sono stati appaiati fino alla comunione il pennacchio del sanciriano e quello dell’umile monaco di Tamanrasset, in un crogiolo di solitudine, di sacrificio e di grandezza. Al di là della spensieratezza di una gioventù che ha cercato fin nei bassifondi dell’anima umana un senso da dare alla vita, tutto ciò porta in luce la generosità del “bazar”. A forza di lasciarsi formare, scolpire dai suoi antenati, Charles ha acquisito la consistenza di un uomo nuovo, risorto con Cristo per la propria salvezza e per quella dei fratelli… di tutti i fratelli umani!
Tali disposizioni interiori – questo si subodora – non sono affatto estranee alle virtù che oggi ancora animano la gioventù che si forma per abbracciare – in una consacrazione fatta di lavoro, rinuncia e sacrifici volontarî – la “carriera delle armi”.
Il “bazar di Dio”
Se si dovesse riassumere la vita di Charles de Foucauld in una formula lapidaria, direi che egli ha accettato per tutta la sua vita di essere il “bazar di Dio”; apprendendo dal cuore della divinità a rendere il proprio cuore simile a quello di Cristo e a diventare così sorgente zampillante di pace e di concordia per tutti gli uomini. Che sia questo il vero pennacchio del luogotenente Charles De Foucauld, diventato l’umile fratel Charles de Jésus?
Che può mai venire di buono, da Saint-Cyr? E del resto che poteva mai venire di buono da Nazaret? Ricordiamoci della parola di Cristo ai suoi discepoli mentre celebreremo la memoria liturgica di uno che niente lasciava presagire potesse diventare l’amico di Dio, un fratellino di Gesù:
Vi ho chiamati amici perché tutto quello che ho appreso dal Padre mio ve l’ho fatto conoscere. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga.
Lì dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]