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L’uomo è al centro, ma dello sguardo di chi?

FRANCO NEMBRINI
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Paola Belletti - pubblicato il 29/05/20
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Con Dante Franco Nembrini ci aiuta a vedere la vita secondo lo sguardo di Dio, che ci ama prima dei nostri meriti. Il nostro stesso venire al mondo è atto di pura misericordia. Ecco la sorgente inesauribile e non inquinabile della nostra autostima. Come al solito quando scopro o vedo con più chiarezza qualcosa di bello lo faccio nelle parole di qualcuno che lo ha già detto meglio. In questo caso è Franco Nembrini ma di sicuro anche la sua scoperta va ricondotta ad altri e in un’ultima analisi al solo Padrone di tutto. Solito spoiler, si sa, siamo pur sempre in un portale cattolico.

Quello che penso dell’uomo di oggi, poveretto, è che si è messo sì al centro ma, pur essendo circondato di cose, ha tolto tutto, avendone rimosso il senso. Poiché ha sgombrato l’orizzonte dal Creatore e soprattutto dal Salvatore.

Nel Medioevo, testimonial ufficiale delle civiltà incomprese, “l’uomo non era al centro, era troppo fissato con Dio”, si dice senza sapere di che si parla. È una posa che vediamo assumere tanto spesso e che forse involontariamente anche noi in tanti assumiamo, come una reazione istintiva: Medioevo-uguale-secoli bui. È un errore storico, lo sappiamo, ma dovremmo riscattarlo anche nella nostra immaginazione; lo stesso Nembrini prende questo pensiero e lo mette sul banco degli imputati. No, non è così. Non era vero che l’uomo era periferico, sacrificato alla visione invadente e ossessiva di Dio. Piuttosto era diversa l’idea, la concezione che si aveva dell’uomo e anche di tutto ciò che esiste insieme, con e per l’uomo.

UOMO VITRUVIANO

Per spiegare la differenza di visioni usa la semplificazione di due immagini: da una parte l’uomo vitruviano, arruolato erroneamente come segno dell’uomo finalmente al centro dell’universo. Ma c’è un altro disegno, prima di quello di Leonardo, che può sintetizzare l’idea di uomo che si aveva nel medioevo: è un’opera di Santa Ildegarda di Bingen, che in obbedienza al proprio confessore mette su carta le visioni che sperimenta: eccolo, l’uomo al centro. Non solo, non una monade; eccolo nella sua grandezza e con i legami che intrattiene con il mondo naturale e quello soprannaturale prima che una riduttiva idea di umanesimo li recidesse.

ILDEGARDA DI BINGEN

 

Era al centro eccome, ma non di sé stesso, nè messo lì a galleggiare nel nulla dove scorre un tempo senza direzione a sperimentare combinazioni nuove di cose che non durano. Era al centro della pupilla, era sotto l’occhio presente e amante di Dio, che, siccome è ricco di fantasia, senso dell’umorismo e del solenne, lo ha posto tra una miriade screziata di animali, fiori, piante, sassi, corpi celesti, gas, acque, particelle. E soprattutto lo ha messo insieme ad altri uomini e donne per tesserne un anticipo di paradiso, prima che, come per Sartre, “l’enfer, c’est les autres”.

Ai giorni nostri (da qualche secolo in qua a dire il vero) siamo al centro, sì, ma in uno spazio desolato; e sempre più evidenti e identificabili come il bersaglio di un tiro a segno.

Il Medioevo stesso poteva semmai ritenersi buio perché i suoi uomini avevano un termine di paragone per contrasto al quale poteva sembrare crepuscolare la loro civiltà: la città di Dio, la Gerusalemme celeste, Il Regno di Dio. Per questo la realtà, bellissima, attraente, carica di bene, avrebbe però mantenuto la sua promessa di finitezza: non è tutto qui, anima mia. La luce che non si spegne è oltre me, attraversami.