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Ricordare chi non c’è più e commuoversi per la sua vita

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 27/05/20

Dopo la morte quello che resta è l'amore

Dire addio a una persona cara fa male all’anima. Fanno male le distanze imposte, e l’anima rimane da sola piangendo in silenzio. Il cuore si amplia o forse si ripiega su se stesso in un gesto di dolore.

Cosa ricorderanno di me quando me ne sarò andato? Che ricordo ho di chi ho amato, di chi mi ha amato, di chi ha costellato il mio cammino?

Il ricordo è il legame invisibile che mi unisce alle persone vive. Il ricordo attaccato alla pelle, alle mani di chi ama. Nelle parole custodite, nelle grida di speranza.

Mi commuovono le parole della figlia spirituale di un sacerdote partito per il Cielo qualche giorno fa:

“Era prudente, semplice, allegro, misericordioso. Aveva il dono di saper trattare le persone. Trattava tutti con lo stesso rispetto e la stessa delicatezza. Non importava la classe sociale o il livello economico. Solo una cosa era importante per lui: portare le anime al Santuario, ed essere immagine trasparente di Cristo, Buon Pastore, ma con un rispetto assoluto nei confronti della libertà personale. Compiere la volontà di Dio con ciascuno sembrava la sua norma di vita, perché non ha mai forzato alcuna situazione contro la dignità della persona”.

Queste parole mi risuonano nell’anima. Alla fine ciò che resta è l’amore. L’amore si compone di parole e silenzi, di gesti rispettosi, di compagnia calma e tranquilla.

L’amore calma l’anima con la delicatezza di una brezza, e alla fine, nell’assenza, poche cose restano custodite nella memoria. Poche parole scritte, poche parole dette.

Ripenso alla partenza di quel sacerdote che ho amato. Che ha accompagnato vari momenti del mio cammino. Non mi concentro sul partire da qualcuno dei suoi talenti. Non mi soffermo sulle sue virtù.

Mi commuovono le sue forme semplici, quell’umiltà che ritrae i santi. Era un uomo di Dio, di Cristo. Diceva José Antonio Pagola:

“Iniziamo a incontrare Gesù quando cominciamo a confidare in Dio come faceva Lui, quando ci avviciniamo a chi soffre come ci si avvicinava Lui, quando guardiamo alle persone come le guardava Lui, quando affrontiamo la vita e la morte con la speranza con cui le ha affrontate Lui”.

Egli ha vissuto così. È morto così. Ricordo la sua forza audace e taciturna per vivere con pace una malattia cronica e poi una mortale. Ricordo i suoi silenzi e i suoi gesti.

Rallegra la mia anima il fatto di poter parlare bene di un sacerdote che ha speso la sua vita, che ha effuso la sua anima, che ha sepolto i suoi sogni senza aspettare di raccoglierne il frutto. Sono stato testimone del suo amore umile.

E oggi, di fronte alla sua partenza, resto a guardare il cielo, è tempo di ascensione, lo ricordo. Lo vedo partire ora per sempre, non come altre volte, solo per un periodo.

La partenza fa sempre male, ma oggi il mio cuore, tra tristezze e ricordi pieni di luce, guarda tranquillo al cielo. Accarezzo vecchie foto e penso alla fragilità di una vita.

Vale la pena vivere e dare tutto. Gesù non ha voluto passare in punta di piedi nella vita degli uomini. Ha voluto restare in ogni cuore e gettare radici profonde dove nessuno potesse strapparle. Si è reso ricordo costante.

Alla fine ciò che resta è l’amore umile, la semplicità di trattamento, la libertà e il rispetto. Alla fine ciò che conta è amare fino all’estremo, pur dimenticando i nomi, senza mai dimenticare l’anima.

Alla fine ciò che conta è come vivo i miei giorni servendo la vita che mi viene affidata, senza pretendere di fare grandi cose, senza sognare grandi posti o grandi successi. Senza voler fare bella figura o essere valorizzato. Alla fine Dio mi valorizza.

Resto a pensare alla morte, alla vita donata, a quegli anni che valgono la pena. Resto a pensare al “Sì” detto un giorno, ai sogni che si sono realizzati.

Sembra che oggi parlare bene delle persone sia malvisto. Forse per uno strano pudore, o per non suscitare invidie. Ci sarà sempre qualcuno che mi dirà che esagero.

Per questo mi piace oggi dedicare queste parole a un sacerdote, a un figlio, a un uomo, a un bambino innamorato di Dio fino al midollo. E sapere che Dio ha fatto della sua anima nobile e pura un riflesso di Cristo qui sulla Terra.

E quando vedo le lacrime dei suoi figli penso che vale la pena di essere di Cristo. Che vale la pena oggi essere sacerdote.

Che ha senso dare la vita amando senza aspettarsi nulla in cambio. Che dà gioia sapere che amare le persone forza lentamente quella porta sognata del cielo.

Penso oggi a quel sacerdote morto dando la vita in modo silenzioso. Con dolore, ma senza lamentarsi. Con la sua discrezione umile, con il suo sguardo calmo.

Penso che gli anni possano purificare la mia anima, e che possano anche amareggiarla. In lui vedo come il dolore abbia guarito il suo cuore di bambino, purificandolo, elevando i suoi ideali.

Una persona parte per il cielo come ha vissuto. Ascende tra le nubi liberandosi dolcemente dall’abbraccio di chi ha amato e vuole trattenerlo.

Con i congedi è sempre così. Un addio che fa male nell’anima, e una promessa che si incide nella mia anima. Come diceva la sua figlia spirituale:

“E ci rivedremo molto presto, perché in Cielo non esiste né il tempo né lo spazio. E godremo insieme a lui di tutto ciò che ci aspetta lì”.

Sì, a presto, quando arriveremo tutti nello stesso Cielo. E rendo grazie a chi mi ha preceduto lungo il cammino. Grazie per il suo “Sì” semplice e la sua gioiosa fedeltà. Per i passi che ha compiuto seguendo il suo Maestro.

Oggi resto a guardare il cielo. La sua vita mi commuove.

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