Con la ripresa delle celebrazioni liturgiche “cum populo”, in molti si sono chiesti se la sospensione del precetto festivo sia tuttora vigente o no. Come al solito, la risposta va cercata nei singoli decreti dei relativi Ordinari del Luogo: qui vi stiliamo una (non esaustiva) rassegna.
Una delle domande più comuni e spontanee, ora che in (quasi tutta) Italia si riprende a celebrare le messe cum populo, è quella sulla dispensa dal precetto festivo: «Ma se ancora non me la sento di andare a messa, e considerando che continuo a non uscire affatto, faccio peccato saltando la messa della domenica?».
«…Questo è il problema»
La questione si regge sul laconico appunto del protocollo della CEI: «Si ricorda la dispensa dal precetto festivo per motivi di età o di salute». Ora, la paura per il contagio costituisce un “motivo di salute” (un’interpretazione evidentemente estensiva), oppure si dovrà continuare a ritenere che il “motivo di salute” sia semplicemente l’indisposizione soggettiva attuale (interpretazione restrittiva)? E se la cosa stesse in quest’ultimo senso, perché mai lo si sarebbe ribadito in questo preciso contesto? Ovviamente se uno ha il morbillo, è stato appena operato o (unica non-malattia che rientra nella fattispecie) ha appena partorito non fa peccato se non attende alla messa domenicale: perché ribadirlo? E perché ribadirlo laddove si parla dell’allentamento delle misure interdittive in materia di liturgia?
Probabilmente per questo Annachiara Valle ha scritto su Famiglia Cristiana che
il precetto è sospeso finché non sarà possibile accedere normalmente alle celebrazioni.
Benché la presa di posizione abbia una sua ratio, che abbiamo esposto poc’anzi e ci sembra anzi moderatamente condivisibile, il protocollo della CEI non prevede alcun esplicito prolungamento della dispensa dal precetto domenicale. Né poteva prevederlo, aggiungiamo, per la solita storia che le indicazioni di massima della Conferenza Episcopale devono essere assunte e attuate da ogni singolo Ordinario in Italia, proporzionatamente alle facoltà e alle necessità. Bisogna dunque capire cosa i singoli vescovi abbiano disposto per le rispettive diocesi, e personalmente ho avuto ogni interesse a studiare il decreto del 14 maggio di mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano (sotto la cui giurisdizione ricadono le parrocchie della città in cui vivo). Tra le Indicazioni generali del documento (che si estende per 7 pagine) si legge, ai numeri 4, 6 e 7, quanto segue:
Viste le modalità per lo svolgimento delle celebrazioni liturgiche […], mancando la disponibilità di un numero sufficiente di fedeli che si prestino al servizio di “volontario” non sarà possibile celebrare la Messa con i fedeli.
Considerando i disagi che derivano dalle attuali limitazioni sanitarie, alla generale dispensa dal precetto festivo per motivi di età, di salute, avvalendosi della norma del CIC can. 87, il Vescovo diocesano richiama la dispensa evidenziata dal can. 1248 § 2, come specificata da ciò che segue.
Quanti in una determinata Domenica vengono a trovarsi nella pratica impossibilità di partecipare alla celebrazione eucaristica potranno attendere «per congruo tempo alla preghiera personalmente o in famiglia» (can. 1248 §2). Potranno scegliere anche di farsi aiutare nella preghiera da eventuali celebrazioni eucaristiche diffuse per via radio (es. Radio Vaticana), o televisione (come Rai1, Tv2000), oppure diffuse via streaming nella propria diocesi o parrocchia.
Insomma:
- la ripresa delle funzioni è una possibilità subordinata alla presenza di certe condizioni, non un imperativo categorico;
- è accusata (addirittura in premessa) una impossibilità pratica di andare a messa.
Dispositioni e ratio in una diocesi d’Italia
Neanche nelle chiese più grandi d’Italia, infatti, il numero dei partecipanti all’assemblea può superare le 200 unità, e in base al Protocollo tutte le chiese vedono drasticamente decimata la propria capacità. Un banale quesito aritmetico: le 100 persone che vanno a messa festiva nel mio paesello d’origine potranno entrare 15 alla volta, dati area calpestabile e volume interno dell’edificio, e quindi per ospitarle tutte disciplinatamente si renderanno necessarie 6/7 celebrazioni domenicali. Essendoci un solo sacerdote, ciò è canonisticamente impensabile (ché ogni prete può celebrare, in casi straordinari, non più di tre messe al giorno), anche contando la “prefestiva” (o “vigiliare” che dir si voglia). Tornando ad Albano, peraltro, mons. Semeraro ha prevenuto anche questo scenario, poiché nel paragrafo L’organizzazione degli spazi si legge, ai numeri 14 e 15:
Per alimentare il legame comunitario di quanti non potranno partecipare alla celebrazione eucaristica, si autorizza, laddove possibile, la diffusione via streaming di una sola celebrazione della Messa domenicale. Per i giorni feriali si indicheranno ai fedeli altri canali, che trasmettono programmi religiosi.
È fatto divieto di aumentare il numero delle Sante Messe, che dovranno perciò rimanere le medesime precedenti la chiusura dello scorso 12 marzo. La graduale riapertura delle chiese, anche con le limitazioni imposte dal protocollo, non giustifica l’incremento del numero delle celebrazioni. Sarà, tuttavia, possibile spostare gli orari delle celebrazioni, soprattutto quando svolte all’esterno, onde evitare disagi dovuti alla mancanza di zone ombreggiate.
Insomma, il decreto di Semeraro non contempla valutazioni soggettive sull’opportunità e sul rischio, ma implica nel suo stesso dispositivo le condizioni della “pratica impossibilità” di andare a messa – cosa perfino “più forte”, in quanto le trasporta su un foro esterno e oggettivo, sottoposto a un discernimento ecclesiale e pubblico.
Mi sono soffermato alquanto su Albano non solo e non tanto perché rappresenta la situazione ecclesiale a me più prossima, ma soprattutto perché spero di aver evidenziato la mens del legislatore: le diocesi d’Italia sono 223 (senza contare gli ordinariati e le altre prelature personali!) e ciascuna di queste realtà viene inquadrata dalle disposizioni di un legittimo Ordinario.
Sommaria rassegna delle indicazioni di altri decreti
Impossibile pensare di fare una rassegna esaustiva di tutti i decreti, ma pure una semplice presentazione sommaria di alcuni basterà a indicare la varietà delle posizioni. Al punto 25 del (molto dettagliato) Vademecum disposto da mons. Francesco Moraglia per la Diocesi di Venezia, si legge:
I fedeli, per gravi motivi di età o di salute, sono dispensati dall’adempimento del precetto festivo. I sacerdoti indichino loro modi adeguati di vivere comunque il Giorno del Signore, anche ma non solo valorizzando la teletrasmissione e diffusione “in streaming” delle celebrazioni, invitandoli a partecipare, se le loro condizioni lo consentono, almeno alla Messa feriale, e di tornare appena possibile a quella festiva.
Evidentemente il Patriarca inclina per una lezione alquanto restrittiva del dettato canonistico richiamato anche dal Protocollo CEI, e a questo è sembrato attenersi anche Riccardo Maccioni su Avvenire. Fedeli della diocesi di Vicenza osservano che il loro Ordinario non avrebbe dato disposizioni chiare sugli «altri modi per osservare il precetto festivo» (quantunque l’espressione sembri alludere alle trasmissioni e/o alle celebrazioni domestiche della Parola). Sembrerebbe che a Lecco singoli parroci avrebbero prudenzialmente vietato agli ultrasettantenni di accedere alla chiesa, mentre diverse diocesi raccomandano di tutelare i loro posti in chiesa ove mai s’imponesse la sgradevole necessità di dover escludere qualcuno (specie se le prenotazioni dei posti avvenissero con app o via internet o con altri mezzi poco pratici per gli anziani).
A Mondovì la Curia ha comunicato in un asciutto comunicato che:
Fino a nuove disposizioni i fedeli sono dispensati dal precetto festivo (e quindi dalla partecipazione alla Messa).
Era però una delle diocesi che ha rimandato di qualche giorno (fino al 25 maggio) la ripresa delle celebrazioni. A Reggio Emilia-Guastalla, invece, le messe cum populo sono ripartite il 18 ed è stato adottato un sito per la prenotazione dei posti, e quanto al precetto si esplicita brevemente:
Il precetto rimane sospeso.
S’è pure verificato il fenomeno della riduzione delle messe (inverso alla loro proposta moltiplicazione), laddove i parroci abbiano ritenuto di non poter igienizzare e/o areare efficientemente l’aula liturgica nel poco tempo che normalmente intercorreva tra una celebrazione e l’altra. In alcune diocesi (come a Torino) la Curia non ha rilasciato indicazioni ufficiali, e i parroci si sono assunti la responsabilità di comunicare ai parrocchiani che l’obbligo al precetto festivo è da intendersi tuttora sospeso.
A Bologna mons. Zuppi ha cercato una formulazione equilibrata e conciliante nella risposta al dilemma, includendo il timore personale come ragione ammissibile per non tornare ancora a messa senza tuttavia commettere peccato:
Ove possibile si assicurerà la diffusione via streaming della celebrazione della Messa, alimentando anche così la fede e il legame comunitario per quanti non possano o non ritengano ancora prudente partecipare alla Messa.
Vorremmo però concludere questa breve (e necessariamente assai lacunosa) rassegna con la nota della diocesi ambrosiana:
Continuiamo o cominciamo ad assicurare la diffusione via streaming della celebrazione della Messa, alimentando anche così la fede e il legame comunitario per quanti non possano o non ritengano prudente partecipare alla Messa; e senza che, in proposito, si moltiplichino parole sul precetto festivo.
Una buona posizione che, fatte salve le indicazioni dei singoli Vescovi, dovrebbe accompagnare la comprensione collettiva della situazione che viviamo – delicata perché ben lungi dall’essere definitiva.