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14 giorni in terapia intensiva per il coronavirus: “Sono viva grazie alla preghiera”

Ana María Brea

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Dolors Massot - pubblicato il 19/05/20

Ana María ringrazia Dio per il suo recupero e per l'incredibile trasformazione spirituale che ha visto nella sua famiglia

Ana María Brea è ricoverata da più di 40 giorni all’ospedale Ramón y Cajal di Madrid (Spagna) a causa del coronavirus. Ora è in una stanza di un reparto normale e si sta riprendendo bene, ma ha trascorso 14 giorni in terapia intensiva.

“È stata un’esperienza unica nella mia vita e in quella della mia famiglia”, afferma con la sua voce allegra.

Ana María è originaria del Venezuela, e si è trasferita in Spagna 13 anni fa. Lavora come direttrice del cosiddetto Telefono d’Oro per un’organizzazione chiamata Messaggeri della Pace. Operativo con 90 volontari, il servizio ha 5 linee telefoniche aperte 24 ore al giorno, pronte a collegarsi con persone di tutta la Spagna che abbiano bisogno di sostegno e consolazione.

“Sono stata contagiata in metropolitana”

Ana María viaggia in metropolitana un’ora al giorno per arrivare al lavoro. “Quando il 14 marzo è stato annunciato l’isolamento, ci siamo incontrati per decidere come portare avanti il nostro lavoro nello stato d’emergenza. Penso di essere stata contagiata quel giorno in metropolitana”.

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Il 20 marzo si è sentita male. “Avevo la febbre, 38°, e i brividi”. Il giorno dopo “ce l’avevo ancora e sentivo dolore in tutto il corpo”. Ha chiamato il numero telefonico d’emergenza e le è stato raccomandato di prendere del paracetamolo, riposare molto e prendere misure igieniche a casa.

Il terzo giorno, però, la sua situazione è peggiorata, e aveva febbre e diarrea. “Ho chiamato di nuovo e mi è stato detto di rimanere isolata in camera”.

“Portatela subito in ospedale”

Il sesto giorno, il marito e i due figli di Ana María erano preoccupati, perché si sentiva peggio. Il marito ha deciso di chiamare l’ospedale Ramón y Cajal, dove avevano la sua cartella medica.

“Sono immunodepressa da quando ho subìto un trapianto di rene”, dice Ana María. “Quella volta, hanno detto a mio marito di portarmi subito in ospedale”.

“Mio marito è rimasto per due giorni senza sapere dove mi trovassi”

È stata ricoverata per coronavirus, e dopo qualche giorno, vedendo che le sue condizioni peggioravano, è stata trasferita in terapia intensiva. A Madrid il numero dei casi stava provocando il collasso del sistema sanitario.

“In ospedale c’era il caos, con talmente tanti casi di cui occuparsi che non hanno saputo dire a mio marito dove mi avessero portata. È stato due giorni senza sapere dove fossi. È stato terribile per lui, perché mi cercava nei corridoi dell’ospedale e lo fermavano”, ha detto Ana María.

“Non è ancora il momento di andare in cielo”

A posteriori, Ana María ora vede la mano di Dio in tutto ciò che è accaduto “Molte persone hanno iniziato a pregare per me, in Spagna e in Venezuela. Dio sia benedetto. Sono profondamente cattolica, e credo che la Madonna mi abbia aiutata a far sì che il Signore dicesse ‘Non è ancora il momento che questa ragazza vada in cielo’”.

“È stato come se Dio mi dicesse ‘Ho una missione per te qui sulla Terra’, e la realizzerò nel mio lavoro o ovunque il Signore voglia”, afferma.

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Tra chi ha pregato per lei c’erano tante persone della sua parrocchia: “Da padre Angel a tanti volontari, tutti hanno pregato per me… C’è una grande unità, e sono convinta di essere viva grazie alla preghiera”.

“Qualcuno stava pregando per me in quel momento”

“In terapia intensiva ho affrontato cose terribili, ma ci sono stati anche eventi splendidi”, spiega Ana María. “Avevo gli incubi. Volevo pregare, e il diavolo non me lo permetteva. Gli incubi non mi facevano dormire, finché un giorno alle 23.00 ho smesso di aver paura e mi sono addormentata. Poi una persona del Venezuela mi ha detto che a quell’ora aveva pregato per me”.

“Penso di essere rimasta in vita per essere una testimone della fede”.

“Hanno detto a mio marito che sarei morta”

Ramón, il marito, era molto preoccupato.

“Un giorno, mentre ero in terapia intensiva, lo hanno chiamato e gli hanno detto che sarei morta e che non avrebbe più potuto vedermi. Gli hanno detto di abituarsi all’idea… Ramón non poteva salutarmi neanche al telefono, né tantomeno vedermi. Ora mi ha detto che in quella situazione dolorosa ha deciso di recitare il Rosario e di lasciarmi andare. È stato un dolore terribile per lui”, ha raccontato Ana María.

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Ma Ana María è sopravvissuta. “La Domenica di Pasqua ho aperto gli occhi. Sono tornata in vita”. Ha dovuto trascorrere qualche altro giorno in terapia intensiva, ma ora è stata trasferita in un reparto ospedaliero normale per la riabilitazione, e presto tornerà a casa.

La conversione dei suoi figli

Anche i figli di Ana María sono una parte importante della storia. “Penso che dovessi prendere il coronavirus perché si convertissero. Me lo spiego così”.

I suoi figli, Arianna e Tony, hanno rispettivamente 30 e 28 anni. “Si sono dichiarati atei, anche s io ho sempre detto ‘Non atei, è solo che in questo momento non siete attivi’”.

“In ospedale ho pregato ogni giorno per la loro conversione, e li ho affidati a chiunque stesse pregando per me. C’è perfino un gruppo di Nostra Signora di Coromoto, del Venezuela, a cui li ho affidati in modo particolare”.

Ora, dice, “sia Arianna che Tony recitano ogni giorno il Rosario. Arianna segue la Messa in televisione… Hanno avuto entrambi il coronavirus ma sono rimasti a casa, con dolori muscolari e forti mal di testa”.

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Oa il peggio è passato. Ramón è riuscito a vedere Ana María per la prima volta al 38° giorno del suo ricovero. Sta riprendendo la forza muscolare, e i medici credono che tra qualche giorno potrà tornare a casa.

“La conversione dei miei figli è stata un dono splendido che mi porterò dietro da tutto questo”, ha affermato la signora.

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