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La riapertura delle Messe obbliga i fedeli ad andare in chiesa?

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Philippe Lissac / Godong

Agi - Don Mauro Leonardi - pubblicato il 16/05/20

Come ha detto Delpini, l'Arcivescovo di Milano, si apre una sorta di periodo di riabilitazione che ha una certa macchinosità

Lunedì prossimo, 18 maggio, ricominceranno in Italia le Messe “con popolo” e per l’occasione cesserà la diretta della Messa quotidiana del Papa da Santa Marta.

L’appuntamento con la Messa dalla cappella della casa dove abita è stato un gesto con il quale Bergoglio ha accompagnato milioni di persone ogni giorno.

Dall’inizio del pontificato molti avevano già la consuetudine di leggere le sintesi delle omelie quotidiane che i media vaticani ogni giorno offrivano, ma è stato molto diverso accogliere nella propria casa, in diretta alle 7 del mattino, Papa Francesco che si avvicinava a noi, con il suo modo forte e delicato.

Molte delle sue riflessioni di questi due mesi resteranno memorabili. Proprio in una di esse, quella del 18 aprile, Papa Francesco aveva coniato uno dei suoi famosi neologismi, quello di “non viralizzare” la Messa e i sacramenti, facendo intendere cioè che, appena sarebbe stato possibile, si sarebbe tornati alla comunione sacramentale reale, non mediatica. “Questa è la Chiesa di una situazione difficile – aveva detto –, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre”.


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Così da lunedì prossimo, poiché l’accordo tra Conte e Bassetti consente con le dovute precauzioni le Messe con la gente, quella promessa verrà mantenuta. Anche se per amor di esattezza bisogna aggiungere che l’ultima Messa da Casa Santa Marta sarà quella del 17 maggio non del 18, perché l’ultima, quella del lunedì, sarà trasmessa in diretta streaming non da Casa Santa Marta ma da San Pietro, dall’altare vicino alla tomba di uno dei pontefici predecessori di Bergoglio: quel Karol Wojtyla che proprio il papa argentino aveva canonizzato il 27 aprile 2014, e di cui lunedì prossimo ricorreranno i cento anni della nascita.

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La riapertura delle Messe al pubblico non significa però che tutto tornerà come prima del Coronavirus. “Scusi don, ma da lunedì 18 maggio sarà di nuovo obbligatorio andare a Messa la domenica e confessarsi?”. Queste alla fine sono giustamente le domande che arrivano a noi preti. Turbano le coscienze in particolare due comandamenti: quello del precetto domenicale e quello di confessarsi almeno a Pasqua, visto che il lockdown ha colpito in pieno i due periodi “caldi” della religione cattolica, ovvero Pasqua e quaresima.

Io, a chi me lo chiede, vorrei rispondere che aveva ragione Dostoevskij quando, nella Leggenda del Grande Inquisitore de I Fratelli Karamasov, rimandava a morire Cristo perché colpevole di aver dato all’uomo il peso schiacciante della libertà. Nel caso del precetto sulle Messe, però, è inutile scomodare il grande russo, visto che nel protocollo d’intesa firmato da Conte, Lamorgese e Bassetti è scritto chiaro e tondo, al punto 5.2, che “si ricorda la dispensa dal precetto festivo per motivi di età e di salute.”




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Quello della salute, ovvio, è un concetto più ampio di quello della malattia. Cioè, se io, anche se non sono malato, temo di contagiarmi nonostante nella mia parrocchia vengano rispettati esattamente tutti i protocolli, non ho obbligo né di partecipare alla Messa né di confessarmi: ovvero non è ancora arrivato il momento di mettere in pratica il proposito che Papa Francesco ricordò il 20 marzo 2020 quando riprese la dottrina sulla contrizione esplicitando l’intenzione di confessarsi con un sacerdote appena possibile. E questo vale, naturalmente, anche se con me vivono persone anziane o immunodepresse.

Insomma dal 18 maggio – e fino a quando la situazione sanitaria sarà del tutto normalizzata – non ci sarà alcun obbligo di andare a Messa e di confessarsi. Tranne nel caso degli anziani e delle persone con malattia conclamata che saranno impedite, riceverà i sacramenti solo chi liberamente lo vorrà e lo sceglierà. Come ha detto Delpini, l’Arcivescovo di Milano, si apre una sorta di periodo di riabilitazione che ha una certa macchinosità. “Immagino questo periodo come quel periodo di riabilitazione che chi ha subìto un trauma deve affrontare con determinazione, perché se uno non ci mette la buona volontà non si riabilita. Però anche con gradualità e prudenza, perché se uno fa le cose troppo in fretta rischia di riprendere i dolori che il trauma ha causato.”




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Qui l’articolo pubblicato da Agi

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