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Covid-19 nelle “villas” argentine: una risposta più rapida del coronavirus

ARGENTINA

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Esteban Pittaro - pubblicato il 15/05/20

Una lezione dei poveri nella pandemia: “I tempi difficili servono per unirsi, non per continuare a dividersi”

Il coronavirus non chiede permesso e penetra in tutte le fasce sociali, come sa bene tutta l’umanità. Anche nelle villas (le baraccopoli) e nei quartieri popolari dell’Argentina il Covid-19 “si sta diffondendo molto”, come hanno riferito dei sacerdoti che assistono più di 20 villas della zona della Gran Buenos Aires in un comunicato in occasione del 46° anniversario dell’assassinio di padre Carlos Mugica.

La pandemia è già costata la vita a varie persone nei quartieri più umili, in cui si registrano centinaia di contagi. La situazione, hanno indicato i sacerdoti dell’Equipo de Curas de Villas y Barrios Populares de Capital y Provincia, “fa sì che si evidenzino i problemi strutturali” di questi quartieri.

“Ci sono luoghi con seri problemi di mancanza d’acqua, come la villa 31. Ci preoccupano la situazione di sovraffollamento e abbandono nelle carceri, le limitazioni del sistema sanitario, l’assistenza alimentare sostenuta e molte necessità concrete che derivano dalla perdita dei lavori informali di molti dei nostri vicini. La realtà dei licenziamenti arbitrari è preoccupante. Ci aspettano momenti molto duri a livello sociale. Sarà una cosa lunga”, concordano.

In questo scenario, però, “emerge la solidarietà naturale tra vicini”. “I poveri ci insegnano che i tempi difficili servono per unirsi, e non per continuare a dividersi. Insieme alle comunità civili locali, alle nostre parrocchie e alle cappelle e alle organizzazioni sociali, accompagniamo il monitoraggio degli anziani, le campagne di vaccinazione e l’assistenza alimentare. Molte delle nostre cappelle si offrono come case perché i vicini ci passino la quarantena”, indicano i sacerdoti.

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“Moltiplicazione dei pani” nella “Città Nascosta”

Padre Marco, della parrocchia di Nostra Signora del Carmelo della Villa 15 di Lugano, più nota come Ciudad Oculta (Città Nascosta), non lo ha detto, ma guardando a quello che accade nella comunità parrocchiale che assiste con padre Gastón si ha la sensazione che si stia verificando una “moltiplicazione dei pani”. E lo stesso accade in altri quartieri. Come si spiegherebbe, altrimenti, il fatto che in due mesi, dall’inizio della pandemia, siano state avviate quattro mense d’emergenza che ogni giorno nutrono 2.500 persone?

“Il motto della parrocchia è ‘Siamo una grande famiglia’, e quest’anno abbiamo scelto di ‘continuare a fare spazio in questa grande famiglia’. E così è stato. Ma è nata anche una nuova espressione che riflette ciò che stiamo vivendo: ‘Oggi siamo più famiglia che mai’. Con tutto questo caos, ci sono delle carenze nei quartieri, si avverte il colpo… ma emerge anche la solidarietà tra vicini. E non siamo gli unici che stanno affrontando questa situazione. Varie mense per aiutare le persone, vicini che si organizzano e cucinano per tutti, che trovano merci… I vicini si sono organizzati per dare una mano a chi ne ha più bisogno”, ha riferito ad Aleteia.

La solidarietà è un tesoro dei quartieri, sostiene. Anche nell’isolamento, che con tutte le difficoltà del sovraffollamento, si vive con grande rispetto.

“Non ci si chiude in se stessi. Non è che nell’isolamento della quarantena che smetto di guardare quello che accade intorno a me. So che se un vicino ha bisogno di qualcosa avvisa, e si cerca il modo di aiutarlo. Gente del quartiere che dice ‘Ho due pacchi di pasta’ e li mette a disposizione… Ricorda le monetine della vedova del Vangelo. Tutto si somma e aiuta a far sì che ci si riesca a dare una mano”, ha aggiunto.

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La solidarietà come orizzonte dei giovani in via di recupero

Le quattro mense del quartiere sono state avviate nella parrocchia, nella scuola, in una cappella in disuso e in un’altra che funziona come centro di recupero dalle dipendenze. Oggi i giovani del centro sono i grandi responsabili di questo miracolo, che formalmente non è altro che il frutto di una comunità che assume responsabilmente il mandato della carità.

“Aiutano a scuola, con la gente del quartiere, i professori della scuola, e tutti insieme danno da mangiare chi già riceveva cibo a scuola, e molti altri nel quartiere”, racconta padre Marco.

“La solidarietà ha dato un orizzonte molto concreto ai ragazzi, e questo è toccante; il ragazzo distrutto all’angolo oggi sta bene, e sta aiutando a dare da mangiare a tutto il quartiere. È un abbraccio della comunità a quel ragazzo, perché non è solo, lavora gomito a gomito con il ragazzo di quella casa, con le mamme, è ascoltato, accompagnato, si divertono insieme, lavorano insieme”.

Quei giovani, insieme ad altri che per vari motivi sono rimasti senza un tetto, sono ospitati nella parrocchia.

Due delle cappelle sono state poi trasformate in ospizi per anziani che non riescono a rispettare l’isolamento in condizioni appropriate o vivono in strada. Insieme all’équipe di Sviluppo Sociale della Città di Buenos Aires e al personale delle mense che operano nel quartiere, si è “andati casa per casa identificando gli anziani avvertendo chi viveva solo, chi aveva bisogno di farmaci, chi poteva isolarsi e chi no”.

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La pandemia per un sacerdote

Per tutti, senza distinzione di vocazione personale o professionale o situazione sociale, la pandemia ha creato una situazione inedita. Padre Marco spiega che viene da un incarico pastorale nella Villa 31. “È stato un modo speciale di vivere il ministero, né migliore né più grande o più piccola. Diversa”.

Lo vive “come un regalo, una grazia”. E in questa circostanza di isolamento preventivo per un virus che è costato la vita di migliaia di persone riscopre “che senza il prossimo non abbiamo primo comandamento”. Se ci manca il prossimo, il vicino, il fratello, la persona, la comunità, non si può vivere quel comandamento principale che ci ha lasciato Gesù… è come dargli volti molto concreti. Si smette di teorizzare una serie di cose e si cerca di dare una mano e di aiutare per quanto si può. Lo vivo come un regalo che mi sta facendo molto bene”.

Nascono e nasceranno molte altre cose, e forse non verranno scritte mai, ma resteranno nel cuore come ricordo di mesi in cui tra tanto dolore la comunità è riuscita a sfidare la fisica e ad abbracciarsi nonostante il distanziamento sociale”.

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