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Ipotizzato nesso tra Covid-19 e malattia di Kawasaki: allerta dei pediatri, ma niente panico

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Di Tekkol|Shutterstock

Paola Belletti - pubblicato il 05/05/20

I numeri sono comunque molto bassi ma l'aumento è significativo. Pediatri da tutto il mondo sono impegnati nella ricerca della possibile correlazione tra l'infezione da COVID-19 e la sindrome infiammatoria che interessa i vasi.

Coronavirus, sempre lui. Una delle parziali consolazioni associate a questo invadente ospite, ma fuggevole in quanto a comprensione, era sapere che i bambini fossero meno a rischio, sia in termini di incidenza del contagio sia in termini di gravità delle sue manifestazioni. Così riporta il sito dell‘Unicef:

Dall’inizio dell’epidemia in Italia si sono contate 1.478 infezioni da coronavirus SARS-CoV-2 tra i bambini 0-9 anni (tutte con effetti lievi tranne in 2 casi) pari allo 0,7% del totale, mentre nella fascia di età 10-19 anni sono 25116, pari a 1,3% del totale. Solamente il 4,1% dei 2.400 casi attivi tra bambini e ragazzi è curata in ambito ospedaliero.

Fino a oggi risultano 2 decessi e nessun ricovero in terapia intensiva di pazienti nella fascia di età compresa tra 0 e 20 anni.
L’impatto dell’infezione sui bambini quindi è ben assorbito, i numeri sono oggettivamente incoraggianti. Ma da fine aprile i pediatri Europei si sono dati l’allarme su un particolare fenomeno per ora solo cronologicamente sovrapponibile alla pandemia da Sars-Cov-2.
In Inghilterra i pediatri sono stati raggiunti da una circolare che segnalava l’aumento di casi di malattia di Kawasaki. Numeri comunque molto bassi, ma largamente superiori alla media normale. Così si legge sull’ Health Service Journal


An alert to GPs and seen by 
HSJ says that in the “last three weeks, there has been an apparent rise in the number of children of all ages presenting with a multisystem inflammatory state requiring intensive care across London and also in other regions of the UK”.

It adds: “There is a growing concern that a [covid-19] related inflammatory syndrome is emerging in children in the UK, or that there may be another, as yet unidentified, infectious pathogen associated with these cases.”(
HSj)

In un’allerta segnalata ai medici di base e letta dal
HSJ si afferma che nelle “ultime tre settimane a Londra e in altre regioni dell’Inghilterra c’è stata un’evidente crescita del numero di bambini di ogni età che presentano uno stato infammatorio multisistemico che richiede il ricovero in terapia intensiva”. E si aggiunge: “C’è una crescente preoccupazione che si stia sviluppando una sindrome infiammatoria legata al Covid-19 nei bambini inglesi, o che ci possa essere un altro agente patogeno infettivo, ancora non identificato, associato a questi casi”.


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Lo stesso fenomeno è stato osservato dai nostri centri di eccellenza nelle cure pediatriche, soprattutto al Nord, nei territori più colpiti dalla pandemia.

Dal Gaslini, il 24 aprile, parte infatti la missiva del professor Angelo Ravelli, pediatra e segretario del gruppo di ricerca di Reumatologia della SIP, Società italiana di Pediatria, che avverte i colleghi di una significativa anomalia. Troppi bambini con la malattia di Kawasaki. Ben cinque casi in quattro settimane quando in un anno la media era di 9 casi totali.

«Al Gaslini di Genova ne ho avuti 5 in appena quattro settimane. Com’è possibile? Prima al massimo ne registravo 9 all’anno. E considerate che questa non è una malattia banale», spiega il professore. C’è poi la coincidenza che proprio la malattia di Kawasaki era tra quelle citate nella lettera inviata ai pediatri inglesi sulle sindromi infiammatorie riscontrate nei bambini ricoverati per Covid-19. (si legge su Open)

Malattia di Kawasaki: di che si tratta

Leggiamo sul magazine A scuola di salute a cura dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù che si tratta di

(…) un’infiammazione acuta dei vasi di piccolo e medio calibro di tutti i distretti dell’organismo. (…)
La malattia di Kawasaki, descritta per la prima volta in Giappone nel 1967 da Tomisaku Kawasaki, è una infiammazione acuta dei vasi di piccolo e medio calibro di tutti i distretti dell’organismo, la cui causa è attualmente ancora sconosciuta; probabilmente vi concorrono più fattori. Colpisce  prevalentemente lattanti e prima infanzia.
La vistosità dei sintomi rende questa malattia comunque importante meno insidiosa poiché la tempestività di intervento ne è favorita: difficile non accorgersi o minimizzare manifestazioni tanto evidenti.


La malattia di Kawasaki è caratterizzata da 
febbre, arrossamento congiuntivale di entrambi gli occhi, arrossamento delle labbra e della mucosa orale, anomalie delle estremità (mani, piedi, regione del pannolino), eruzione cutanea e interessamento dei linfonodi della regione del collo.
La malattia guarisce da sola ma si associa al rischio di interessamento delle 
arterie coronarie, i vasi che irrorano il cuore, più frequente nei pazienti non sottoposti ad adeguato trattamento (15-25%) ma talvolta anche in quelli adeguatamente trattati (inferiore al 5%). (Ospedale Bambin Gesù)


Nella comunicazione che ha raggiunto gli 11mila pediatri iscritti alla Società Italiana di Pediatria, si legge:

«Caro collega, ti scrivo per segnalarti che nelle ultime settimane è stato osservato, in particolar modo nelle zone del paese più colpite dall’epidemia da Covid-19, un aumento della frequenza di bambini affetti da malattia di Kawasaki. In una percentuale non trascurabile di casi la malattia si è presentata con un quadro clinico incompleto o atipico e ha manifestato resistenza al trattamento con immunoglobuline endovena e tendenza all’evoluzione verso una sindrome da attivazione macrofagica, che ha richiesto trattamenti aggressivi e, non di rado, il ricovero in terapia intensiva». (Open)

Il 3 maggio, su iniziativa dell’ospedale di Boston, si sono dati appuntamento su Zoom 500 pediatri da tutto il mondo, alle 23.30 ora italiana per ragionare, dati alla mano ( pochi, per ora), sull’ipotesi che vede un nesso tra malattia di Kawasaki e Covid-19. Niente panico ma tanta attenzione: «L’ipotesi, emersa ieri sera, è che il Covid-19 non sia la causa diretta della malattia di Kawasaki bensì la risposta immunitaria al virus, una reazione che io definisco “anomala”» . (riferisce il prof. Ravelli a Open)

Le cure

Il trattamento con immunoglobuline, che vanno somministrate per endovena entro il decimo giorno dall’insorgenza dei sintomi, è uno trattamenti consolidati da utilizzare in questi casi; la resistenza riscontrata in alcuni casi conferma soltanto che questa sorta di pseudo-Kawasaki da coronavirus è un’ipotesi, da convalidare con dati più consistenti. Ma è un’ipotesi verosimile.

L’utilizzo dell’aspirina a dosaggio antiinfiammatorio fino a 72 ore dopo la scomparsa della febbre e fino a 8 settimane dall’esordio nei pazienti che presentano alterazioni coronariche. Altra possibile terapia è quella a base di steroidi,

soprattutto nei bambini con particolari condizioni di rischio, ovvero un’età inferiore ai 12 mesi, dilatazione coronarica subitanea, indici di infiammazione molto elevati e altre complicanze. (SkyTG24salute)

L’OMS rassicura

I numeri sono molto bassi, ma la situazione è sotto osservazione. I dati sono ancora insufficienti.

“Sappiamo del piccolo numero di bambini che hanno subito una risposta infiammatoria simile alla sindrome di Kawasaki: è successo in uno o due paesi ed è una condizione molto rara. Ma stiamo esaminando la situazione insieme al nostro network di clinici”. Queste le parole di Maria Van Kerkhove, responsabile tecnico per il coronavirus dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nel corso della conferenza stampa a Ginevra. “Abbiamo esperti da tutto il mondo che si riuniscono una volta a settimana e che stanno cercando di capire meglio come questa infezione colpisce il corpo. Sappiamo di questi casi, e stiamo cercando di continuare a raccogliere dati. Le recenti descrizioni di sindrome infiammatoria simile alla malattia di Kawasaki sembrano essere molto rare, ma il network sta studiando i dati per capire meglio cosa sta succedendo e come affrontarlo”, ha precisato l’esperta. (Ibidem)

Rassicurazioni, quindi, per i genitori: questo tipo di sindrome si verifica raramente e se capita i trattamenti ci sono, sebbene possa rendersi necessario il ricovero in terapia intensiva. Quel che non è ancora chiaro, dice ancora la responsabile del programma emergenze sanitarie dell’OMS, è il ruolo epidemiologico dei bambini nella pandemia in corso.

 “Sappiamo che la grande maggioranza dei bambini ha sintomi lievi e guarisce e che i piccoli sono in generale meno colpiti. Quello che iniziamo a notare da studi molto ben eseguiti all’interno di nuclei familiari è che la trasmissione avviene dagli adulti ai bambini e che questo avviene in maniera molto meno estesa da bambini ad adulti”, ha spiegato Van Kerkhove. “Non c’è motivo di pensare che i bambini siano meno suscettibili all’infezione, se sono esposti al virus ma abbiamo bisogno di altri studi, consistenti, che seguano le persone per molto tempo, per chiarire meglio il ruolo dei bambini nell’epidemiologia”.  (Ibidem)

Tanta attenzione e prudenza

La durezza di certe misure, forse, può sembrarci meno insopportabile se scopriamo di avere tutelato i nostri bambini da rischi importanti. La statistica, vissuta dal lato genitori, ha un che di roulette russa che ci risparmiamo volentieri. Nessuna illusione di un fantomatico rischio zero, per carità. Se c’è una cosa che sappiamo quando ci nasce un bambino è che certamente dovrà morire, da anziano ci auguriamo e dopo una vita serena; ma come credenti quella è una speranza secondaria, sebbene importante e sana.

Quello che ci possiamo augurare come famiglie e come popolo è che l’equilibrio tra le misure di contenimento del contagio, l’efficacia e l’accessibilità alle cure, la ripresa della vita sociale, economica e religiosa si trovi al più presto.

Concluderei con le considerazioni di un neonatologo lombardo, il prof. Agosti, direttore di neonatologia dell’Ospedale di Varese, che su questo tema ha espresso una posizione non solo competente ma anche pacata ed equilibrata: serve solo la paura, non il panico, per avere il giusto coraggio. La correlazione tra infiammazione dei vasi (simile quindi alla malattia di Kawasaki) e coronavirus deve essere confermata, ma l’allerta che ci siamo dati come pediatri è ragionevole e adeguata allo scopo: comprendere e curare.

Non potrebbe, questo effetto collaterale altamente indesiderato, aiutarci a capire il comportamento di questo virus e magari permetterci di combatterlo meglio? Chiedo da profana.

Il tema della riammissione dei bimbi e dei ragazzi in contesti sociali dove l’assembramento è la norma va affrontato quindi con ragionevole prudenza, e non più solo pensandoli come categoria non a rischio ma pericolosi vettori per fasce di età più fragili.

L’impatto di questo virus sui bambini non è ancora chiaro; un’altra anomalia che possiamo segnalare, perché la rete stessa dei nostri pediatri l’ha riscontrata, è la diffusione insolita dei cosiddetti “geloni” in età infantile. Lesioni alla pelle di mani e piedi, rosse e che causano prurito. Anche in questo caso si è osservata una simultaneità e non un diretto nesso causa effetto tra diffusione del Covid-19 e tali manifestazioni.

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