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La grande lezione di questa crisi economica: abbiamo bisogno di comunità

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Silvia Costantini - pubblicato il 29/04/20

L’economista Luigino Bruni ci aiuta ad intravedere luci di speranza

La diffusione nel mondo del Covid- 19 ci ha catapultati in una tempesta senza precedenti: una crisi sanitaria ed economica che coinvolge indistintamente sia paesi ricchi che poveri. Una crisi che vede legate a doppio filo le perdite di vite umane, nonché le misure di contenimento dell’epidemia e i relativi danni colossali all’economia mondiale dati proprio dal lockdown, nel tentativo di arrestare la pandemia.

Per non lasciarci travolgere solo da ombre e incognite, abbiamo chiesto a Luigino Bruni, professore ordinario di Economia politica presso l’Università Lumsa di Roma, direttore scientifico dell’evento “The Economy of Francesco”, coordinatore del progetto Economia di Comunione del Movimento dei Focolari, co-fondatore e Presidente della Scuola di Economia Civile ed editorialista di Avvenire, di aiutarci a capirequella che secondo lui è la lezione da poter apprendere da questa situazione estrema.

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–Dopo questa crisi, crede potremo costruire un sistema migliore, sulla scia della Laudato si’ e del magistero di Papa Francesco?

Prof. Luigino Bruni: Non è automatico.  Il vero rischio che stiamo correndo, anche in questa fase di lockdown, è che non cambi molto rispetto a prima, nel senso che la gente percepisce questa crisi come una crisi finanziaria e dell’economia reale, cioè come posti di lavoro, mentre è molto meno evidente che si percepisca questa crisi come crisi del capitalismo, nonché come modello di vita. E’ molto probabile che quando riapriranno i centri commerciali ci saranno di nuovo le lunghe file a cui siamo abituati. Non cambieremo stili di vita dopo questa crisi. 

Quindi, non voglio illudermi di un capitalismo che  cambia volto e prende una nuova forma. D’altra parte, i discorsi degli opinion leader, degli economisti, degli intellettuali oggi possono essere maggiormente ascoltati rispetto al passato, perchè la gente percepisce, anche in modo non razionale, che abbiamo corso troppo. L’esserci fermati ci può aver dimostrato come il mondo possa andare meglio anche correndo di meno. Passare di zero a mille ci ha fatto immaginare che c’è la possibilità di andare a 500.

Quali ferite porterà con sé il contagio? Da dove ricominciare quando sarà passata questa crisi mondiale?

Prof. Luigino Bruni: Dovremmo rimparare l’arte delle distanze brevi. Ci abbiamo messo migliaia di anni a dare la mano ad uno sconosciuto, ad avvicinarci a un forestiero, a non aver paura di chi non conoscevamo, a fidarci del non amico. Il rischio di queste crisi è che ci rimetteremo molto tempo e che l’uomo diventerà “homo hominis virus”, parafrasando “homo hominis lupus”. Cioè che  vedremo l’altro come un possibile fattore di rischio, di virus e non di simpatia, di amicizia. Io spero che non ci ritroveremo troppo isolati, a far lezione da casa, allo smart working da soli, dentro quattro mura, a vivere sempre più negli appartamenti e dimenticandoci di quanto sia bella la comunità. Rimparare queste cose che si possono dimenticare. E’ molto più comodo vedere un programma in televisione sul divano, la sera, piuttosto che uscire ed andare ad una conferenza, un concerto, o anche una riunione dal vivo…che richiede un investimento di energie.

Speriamo che non vinca la paura. Anche perché non si può vivere in un mondo a vulnerabilità zero, perché è un mondo invivibile. Perché se per paura di ammalarsi le persone non vivono più, allora è la paura che diventa la grande malattia.

La paura può diventare la più grande malattia

Ci può dare qualche esempio di economia “sociale”, che sta funzionando?

Prof. Luigino Bruni: Stiamo vedendo che quelle economie che avevano delle reti vere, legate al territorio, a network reali, come alcune catene agroalimentari, l’economia della cura, tutto il mondo dell’assistenza non sono crollate. Perché questa crisi ha mostrato che dove c’era una comunità, comunità anche d’imprese, questa comunità è emersa ed è stata una rete di salvataggio

Per esempio, lo abbiamo visto in Italia con la produzione delle mascherine. Si è attivato tutto un sistema, dove esistevano reti, per esempio, reti di piccoli comuni, del non profit…

Chi aveva rapporti con i produttori locali, il cosiddetto “km zero”, ha continuato a portare il cibo in casa. Questa crisi ha messo in luce gli investimenti fatti prima. Gente che aveva costruito rapporti reali impegnativi durante gli anni passati si è ritrovata in questa fase di crisi in vantaggio, perché ha continuato ad avere accesso al cibo fresco e anche ad un prezzo competitivo.

Quindi, questa crisi ha fatto anche capire cosa c’era e cosa no nell’economia. In particolare, si è visto quanto poco conti la finanza oggi. C’è lo spread al rialzo o al ribasso nella borsa…, ma se non c’erano i commessi nei supermercati,  i camionisti che ci portavano le merci, o gli addetti alla manutenzione…, saremmo morti di fame. 

Questo rallentamento ci ha fatto vedere i lavori veramente importanti, l’economia essenziale. Quindi è emerso anche il lato bello dell’economia, che è la vita.

Medici, commessi, camionisti… Loro sono il lato bello dell’economia, che è la vita.

— Come si sono organizzati in questi due mesi di lockdown gli imprenditori che si ispirano all’economia di comunione? 

–Prof. Luigino Bruni: Ci sono tante storie belle, per esempio chi si è adoperato per la raccolta di fondi per aiutare chi è in difficoltà, come una lavoratrice ungherese che quando ha visto che in Italia c’era il blocco totale delle attività, si è offerta di dare per sei mesi 1000 euro al mese del suo stipendio, per un imprenditore che non poteva più andare avanti.

Qui a Loppiano, con i focolarini, i giovani e i ragazzi hanno sposato l’attività di sartoria per produrre mascherine.

Poi ci sono imprenditori che hanno donato materiali per la sicurezza, o anche in Brasile, un imprenditore che produce cibo speciale per chi è molto malato, si è messo a disposizione per offrire cibo a chi è in terapia intensiva.

Tanti atti individuali e tanta solidarietà sono diventati una rete.

Tanti atti individuali e tanta solidarietà sono diventati una rete.

— A quali energie dobbiamo attingere per trovare tutte le soluzioni possibili per salvare le aziende ed i posti di lavoro? 

Prof. Luigino Bruni: Dobbiamo attingere alle energie più profonde delle persone, alle  virtù civili, che nonostante il pessimismo di tutti questi ultimi anni, ci sono. Abbiamo scoperto di riuscire a stare a casa, dai più piccoli ai più grandi, nonostante le difficoltà. E ce l’abbiamo fatta. 

Il governo però deve essere coerente, perché non si può chiedere etica e virtù ai cittadini quando si fa ripartire l’Enalotto, il gioco d’azzardo, e non la possibilità di andare in chiesa. Purtroppo sappiamo quanto il gioco d’azzardo faccia male all’Italia. E’ una tassa sui poveri, una patrimoniale all’incontrario, perché sono più i poveri che si rovinano con queste attività.

Si deve attingere all’etica senza dare segnali contraddittori.

Le autorità devono attingere all’etica senza dare segnali contraddittori. 

— La crisi mondiale provocata dal Covid-19 ha un effetto di accelerazione impressionante in tutte le tendenze in atto a livello geopolitico, sociale ed economico… Come immagina il modello economico di riferimento dopo questa crisi? 

Prof. Luigino Bruni: Ci sono tre elementi da considerare: mantenere il “Welfare State”. Mi auguro che non continueremo a smantellarlo. Ci siamo accorti che quelle regioni dove c’era rimasto un po’ di sanità pubblica hanno retto molto di più di quelle dove si è dato tutto in mano al mercato.

Il mercato funziona bene per l’ordinario, ma molto male per le grandi crisi dove c’è bisogno di garanzie statali, di azioni collettive, di beni comuni. Quindi, non continuiamo a smantellare sanità, scuola…i beni comuni, che in questi anni di ideologia neoliberista abbiamo smantellato. Chi non l’ha fatto, come la Germania, si vede come abbia affrontato meglio questa crisi.

Teniamoci buono quel Welfare State che abbiamo. Il mercato assicura per i piccoli rischi individuali: la macchina, il furto…

In secondo luogo, abbiamo visto quali sono i lavori veramente essenziali nella vita. Abbiamo imparato che tutte quelle  figure invisibili, dalle commesse a chi pulisce le strade, a chi raccoglie l’immondizia … sono degli eroi. Sono chi tiene in piedi il Paese, che si basa sul lavoro manuale, l’intelligenza delle mani. Non dovremmo dimenticarlo anche dopo la crisi.

In terzo luogo, dovremmo vivere di più il principio di precauzione, che significa investire anche in cose che non rendono nei momenti ordinari, ma che possono diventare essenziali nei momenti di crisi. Purtroppo le logiche del mercato non lo prevedono. 

— Quali sono, secondo lei, le qualità che dovrebbe avere un imprenditore cristiano…specie ora?

Prof. Luigino Bruni: Tutti gli imprenditori dovrebbero avere un senso di riconoscenza per i propri lavoratori e non sentirsi “i benefattori”, che tutto dipende da loro, perché senza lavoratori non si fa nulla. 

Bisogna rendersi conto che le imprese sono le persone, ancor prima dei soldi.  Il primo asset di un’impresa sono le persone. Quindi avere un grande rispetto dei lavoratori e di non considerarli solo un costo, ma una dignità da rispettare.

Poi dovrebbero avere un senso di rispetto per il peso che hanno le istituzioni, per lo Stato. Non vedere sempre il governo come un nemico che chiede solo tasse. Abbiamo visto che se avessimo avuto meno evasione fiscale, magari avremmo avuto più posti in terapia intensiva. Le tasse non sono una forma di altruismo, ma una forma di giustizia e di dovere

Questo significa riconciliarsi con le sfere sociali. 

E poi avere un’idea del mercato che prima è cooperazione e poi competizione. Le virtù dell’imprenditore sono virtù di cooperazione, non di lotta. Un buon imprenditore sia cattolico che non, deve saper collaborare con i lavoratori, con i concorrenti, con i clienti…

Chi ha virtù cooperative ha successo anche come imprenditore, a differenza di chi vive il mercato per prevalere, e questo è da pessimo imprenditore.

Le imprese sono le persone

–Trova una correlazione tra economia e felicità? E, in questo momento di grave crisi anche valoriale, si può essere felici?

Prof. Luigino Bruni: Mi sono occupato e mi occupo di felicità da oltre venti anni. 

Quando si è poveri conta molto l’economia per la felicità, a differenza di chi supera una certa soglia di reddito per cui cambia poco averne di più. 

Ma in questi anni di studio, ho capito che per gli esseri umani la felicità non basta, noi vogliamo di più. Le persone vogliono verità. 

L’essere umano è un animale simbolico, che ha bisogno di senso.

La visione edonista di questi ultimi trent’anni, che poneva al centro la ricerca della felicità, è una visione sbagliata, perché non è vera: una delle evidenze è che la felicità propria è importante, ma lo è insieme a quella degli altri e quella dei figli ancora di più.

Un’altro punto è che quando si cerca la felicità come fine questa non arriva, perché la felicità arriva come effetto non intenzionale.

Se uno la pone al centro dei propri obiettivi si autodistrugge. La felicità arriva se sono occupato da altre cose: la famiglia, il lavoro, la passione. La felicità è importante, ma altre cose lo sono di più.

Quindi diamole importanza, ma non troppo!

— Come può ciascuno di noi, nel suo piccolo, contribuire alla crescita economica del Paese?

Prof. Luigino Bruni: Innanzi tutto, con la creatività: prima di aspettare che il lavoro ci arrivi da fuori bisogna inventarselo, magari insieme ad altri facendo nascere associazioni, cooperative… Oggi l’idea che faremo un solo lavoro nella vita è un lusso del 20% della popolazione attiva. A parte i giudici, i medici eccetera, gli altri dovranno avere un  approccio creativo  e imprenditoriale. Si fanno tanti lavori, diversi e contemporaneamente e si cambierà tante volte, perché il lavoro come lo intendevamo nel ‘900 non c’è più.

Prima di aspettare che il lavoro ci arrivi da fuori bisogna inventarselo

Poi, avendo un rapporto più responsabile  con l’economia, che significa sapere cosa si compra, dove si mettono i soldi, in che tipo di realtà.

Un bene è buono se ha dentro zuccheri invisibili che si chiamano diritti umani, delle calorie che si chiamano libertà delle persone che lavorano… Dobbiamo crescere come democrazia che si esprime anche nelle scelte economiche di tutti i giorni.

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