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Tutto è andato male?

RAINBOW

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 27/04/20

“Quando la tormenta passerà e le cose si saranno calmate... ci sentiemo felici solo per il fatto di essere vivi”, scrive Mario Benedetti

Due discepoli tornano tristi a casa propria, nel loro villaggio, Emmaus. Parlano sottovoce delle loro cose. È andato tutto male:

“Due di loro se ne andavano in quello stesso giorno a un villaggio di nome Emmaus, distante da Gerusalemme sessanta stadi; e parlavano tra di loro di tutte le cose che erano accadute”.

Avevano sognato, ma nulla di quello che avevano sognato era diventato realtà:

“Il fatto di Gesù Nazareno, che era un profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e i nostri magistrati lo hanno fatto condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste cose. È vero che certe donne tra di noi ci hanno fatto stupire; andate la mattina di buon’ora al sepolcro, non hanno trovato il suo corpo, e sono ritornate dicendo di aver avuto anche una visione di angeli, i quali dicono che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato tutto come avevano detto le donne; ma lui non lo hanno visto”.

Non credono alle donne che non hanno visto il corpo di Gesù. Non credono alla promessa ora che tutto è fallito. C’è una sconfitta maggiore della morte in croce? Sono tristi.

Avevano creduto che la loro vita sarebbe diventata migliore. In qualche momento avevano anche pensato che già lo fosse. Ma ora tornano a casa addolorati. Cosa dire alla loro famiglia? È andato tutto male.

Sono così offuscati, così abbattuti, che non solo non credono alle donne, ma non riconoscono neanche Gesù quando si avvicina a loro:

“Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù stesso si avvicinò e cominciò a camminare con loro. Ma i loro occhi erano impediti a tal punto che non lo riconoscevano”.

Gesù, che già sa tutto, vuole tuttavia che glielo raccontino:

“Di che discorrete fra di voi lungo il cammino?”

In questo momento della storia mi emoziono sempre, non riesco a evitarlo. I due personaggi non sono dei dodici. Non sono tra quelli più amati. Sono due dei tanti discepoli di Gesù. Un gruppo grande. Tornano a casa stanchi, senza fede.

In seguito, quando sapranno che Gesù è vivo, torneranno a Gerusalemme. Si giustifica che vada a cercarli lungo il cammino? Mi commuove.

Gesù va a cercarli. Non vuole che vadano a casa. Non li chiama per nome. Aspetta. Ascolta tutti i loro pensieri negativi. Asciuga tutte le loro lacrime.

Oggi Gesù chiede a me perché sono triste. A cosa sto pensando. E io tiro fuori le mie domande, le mie paure, i miei dolori. Li espongo ai suoi occhi.

“Non ti sembra sufficiente?”, gli grido.

Oggi ho molte ragioni per essere triste, per provare dolore. Tanti morti, tanti malati che vivono la loro angoscia in solitudine, tante vite offerte. Quando passerà tutto questo?

Non riesco a comprendere la croce, non la capisco mai. Che senso ha il dolore?

La gioia condivisa riempie l’anima. Il cuore ama in modo più profondo. Non capisco la possibile fecondità della mia pena. Non so da dove Dio trarrà un bene da tanto male. Non lo concepisco.

Avevo i miei progetti, i miei sogni, i miei desideri. E la situazione attuale frustra tutto. Torno a casa triste, con un dolore profondo. Non c’è luce, non c’è futuro. E in mezzo alla mia angoscia, Gesù tira giù il velo con le sue parole:

“«O insensati e lenti di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette! Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?» E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano”.

È chiaro. Gesù è capace di parlarmi con profondità. La mia vita non può dipendere da cose così fragili. L’ho verificato in questi giorni.

È tutto così debole, così instabile. Fluisce tutto con tanta forza. E io mi aggrappo a quello che possiedo, a ciò che desidero. Vanità, tutto è vanità. E all’improvviso una corrente impetuosa travolge tutto e piango.

Com’è possibile continuare a vivere?

Questo virus ha spazzato via tutte le mie certezze, e mi ritrovo perso in mezzo al mio dolore. La solitudine schiaccia, come la paura di perdere la vita.

Nella mia tristezza, Gesù oggi mi parla con le sue parole. Oggi nel mezzo dell’oscurità ci sono molte parole, molte vite, che mi liberano l’orizzonte. Mi indicano un Dio nascosto. Il testo di una canzone di Esteban Gumucio parla di questa speranza:

“Credo che dietro la nebbia ci sia il sole in attesa. Credo che in questa notte oscura le stelle dormano. Non mi ruberanno la speranza, non me la distruggeranno; venite a cantarla con me”.

In questo periodo Gesù mi parla in persone, eventi, canzoni. Mi parla in molti modi. Scrive Mario Benedetti:

“Quando la tormenta passerà e le cose si saranno calmate
e saremo sopravvissuti a un naufragio collettivo,
con il cuore che piange e il destino benedetto
ci sentiemo felici solo per il fatto di essere vivi,
e abbracceremo il primo sconosciuto
e loderemo la fortuna di aver mantenuto un amico.
E allora ricorderemo tutto quello che abbiamo perso
e impararemo una volta per tutte tutto quello che non abbiamo appreso.
Non proveremo più invidia perché tutti avranno sofferto,
e non trascureremo più. Saremo più compassionevoli.
Quello che è di tutti varrà più di quello che non abbiamo mai ottenuto.
Saremo più generosi. E molto più impegnati”.

Mi piace questo sguardo. Riempie il mio cuore. Dà luce ai miei occhi ciechi. Allontana l’oscurità e risveglia la gioia nella mia anima.

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