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Quando insegnare a leggere e scrivere?

MOTHER READING BOOK,

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Canone Occidentale - pubblicato il 24/04/20

L'esperienza e i consigli di una mamma.

Secondo alcuni metodi pedagogici bisogna attendere che il bambino sia pronto per l’alfabetizzazione, cosa che può avvenire tra i sei e gli 8/9 anni. Secondo altri, bisognerebbe iniziare a esporre i bambini sin da piccoli ad alcuni stimoli che ne consentono un approccio alla parola scritta molto precoce.

Personalmente ritengo che prima dei sei anni vada semplicemente assecondato il naturale interesse dei bambini. Questo interesse si può risolvere nella conoscenza dell’alfabeto, nel saper scrivere il proprio nome e forse quello di qualche famigliare, nel riconoscere alcune parole ricorrenti (bar, stop, ecc…), via via fino a saper leggere davvero. Dei miei cinque figli, solo uno ha imparato a leggere davvero bene prima della scuola primaria, e lo ha fatto praticamente da solo, guardando sua sorella che faceva i compiti di prima elementare e scoprendo il codice autonomamente poco alla volta. Gli altri per lo più conoscevano le lettere e qualche parola, uno solo non conosceva neppure tutte le lettere. Entro la fine della prima elementare hanno letto tutti (chi più e chi meno).

Il punto però è: avrebbero potuto imparare prima? Ne avrebbero avuto dei vantaggi?

Alla prima domanda la risposta è sì, tutti tranne uno avrebbero potuto essere spinti ad accelerare questo processo.

La risposta alla seconda domanda è: non credo.


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Quel che davvero serve ai bambini in età prescolare secondo me si può riassumere in:

1. Una buona esperienza con il linguaggio orale e scritto. Ciò significa che gli adulti leggano ad alta voce una gran varietà e quantità di libri, che raccontino storie e aneddoti (di famiglia, fatti storici, trame di film, vite di personaggi importanti o di santi), che ascoltino i racconti dei bambini, reali o immaginari che siano, rispettandoli e incoraggiandoli;

2. una buona dose di manipolazione, disegno, manualità, colorare, ritagliare… tutto ciò che può interessare e divertire i bambini permettendo loro un’espressione personale e (effetto collaterale) uno sviluppo delle capacità motorie fini;

3. la familiarità con i libri: i libri si possono guardare, sfogliare, si possono usare per inventare delle storie, si possono fabbricare in casa, si può chiedere a un adulto di leggerli per noi… comprendere le gioie che derivano dalla lettura di un bel libro aumenta di gran lunga il desiderio di imparare una strada di accesso autonoma per quel mondo fantastico che vi è racchiuso;

4. risposte: non mi piace spingere i bambini in una corsa ad arrivare primi (cosa si vincerà, poi?), ma trovo anche assurda la tendenza opposta, messa in atto alcune scuola materne e anche da alcune famiglie. Alla domanda diretta di un bambino, non si dovrebbe rispondere “questo lo imparerai a scuola”, “non è programma di quest’anno”, “te lo spiegherà la maestra a suo tempo”: una domanda seria del bambino richiede una risposta seria da parte dell’adulto, ovviamente non una conferenza universitaria o una lezione di due ore, ma una semplice risposta, che nutra la mente del bambino;

5. infine, un po’ di ambiente preparato: filastrocche e canzoncine in rima, lettere magnetiche, timbri, libri illustrati con grandi scritte, alfabeto mobile montessoriano… gli stimoli possono essere moltissimi e basta sceglierne alcuni, non servono tutti insieme.

MATKA CZYTA DZIECIOM
Evgeny Atamanenko | Shutterstock



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Non dico che lettura e scrittura non debbano essere oggetto di lezioni specifiche, dopo una certa età o – meglio – una volta raggiunto un certo livello di “readiness”, anzi: soprattutto la calligrafia secondo me andrebbe curata come non si fa più da molto tempo, ma non vedo davvero nessun vantaggio nel fare questo percorso a tappe forzate. Ritengo molto più sostanziale (e delicato) insegnare ai bambini ad ascoltare attentamente anche lunghi racconti, a ripetere con parole proprie, a formarsi delle opinioni sui fatti e sui personaggi, a sviluppare un pensiero logico che parte da situazioni concrete per arrivare all’astrazione. Questo tipo di pensiero è per sua essenza personale, difficilmente confrontabile tra un bambino e l’altro, quindi è quasi inutile cercare di capire se nostro figlio è “avanti” o “indietro” rispetto ai coetanei: sarà per questo che vedo molto meno impegno su questo fronte che su quello della lettura precoce?

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SUL BLOG CANONE OCCIDENTALE

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