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In uno slum di Lusaka un italiano insegna a non salvarsi da soli

BAULENI ZAMBIA NO PROFIT

© Diego Cassinelli

Anna Raisa Favale - pubblicato il 24/04/20

A Bauleni Diego Cassinelli ha creato "In&Out of the Ghetto”, una piccola organizzazione non-profit zambiana, che punta a creare una comunità coesa e a contrastare efficacemente la pandemia

“Era un sabato di Ottobre, quando sono entrato per la prima volta a Bauleni,” uno slum di Lusaka, in Zambia. “Mi sono innamorato subito, e ho deciso di voler vivere lì. Un anno e mezzo dopo ho incontrato la ragazza che sarebbe diventata la mia compagna, e adesso abbiamo 4 bambini, l’ultimo è arrivato proprio qualche giorno fa!”.

Trovo così tanta tenerezza nel modo in cui Diego Cassinelli mi racconta “l’incontro con la sua Africa”. Una storia d’amore, una specie di colpo di fulmine, penso.
Ogni passione ha un luogo”, mi dice.
Ma come ci sei arrivato, lì?”. Gli chiedo.
Vivevo a Milano, facevo il pasticciere, avevo il mio lavoro e la mia sicurezza. 2 settimane di ferie d’estate, settimana bianca d’inverno, e i soldi da parte per ‘il macchinone’. Ma Milano è una città frenetica, ti mette molto alla prova, e dove devi anche essere disposto a calpestare delle teste per arrivare in alto. Un giorno mi sono svegliato, e mi sono chiesto: ‘Ma la vita è davvero soltanto questo?“.

Da quel momento Diego entra in una crisi che lo porterà a partire per l’Africa come volontario, incontrare i missionari Comboniani, e dopo anni di discernimento e di formazione nel sociale, decidere di restare a vivere lì. Oggi, dopo circa 15 anni, Diego con la sua famiglia ha fondato una ONG: “In&Out of the Ghetto”, attraverso la quale ha aperto un ristorante nello slum, “La bottega”, mezzo italiano e mezzo zambiano, che serve come principale fonte di risorse per finanziare le altre tante attività create negli anni: un asilo che ospita 40 bambini tra i più poveri della zona, una piccola clinica per le emergenze sanitarie, corsi di teatro e di karate, e corsi di musica grazie alla partnership con una associazione sarda.

Ma anche formazione professionale in ambito alberghiero attraverso il ristorante, e una Guesthouse dove i volontari che arrivano hanno la possibilità di conoscere la realtà soggiornando al suo interno. Il Coronavirus, però, così come nel resto del mondo, anche lì ha portato a chiudere le attività. Penso al lockdown, alle case dello slum dagli spazi estremamente ristretti, penso a chi una casa neanche ce l’ha. “Come state affrontando la situazione?”, gli chiedo.

Le sue parole sono forti:
Non è solamente un problema di spazi, ma è di sopravvivenza: stare in casa vuol dire morire. Non si può fare in uno slum. Se obblighi il lockdown, metti a morte un sacco di gente che deve uscire tutti i giorni per garantire la sopravvivenza a se stessa e alla propria famiglia. Io stesso, se mi metti di fronte alla scelta: come morire, di fame o di Coronavirus? Penso che se non mangio ho il 100% di possibilità che muoio, se vado fuori ho una possibilità minore di infettarmi, e allora scelgo il male minore. Serve cambiare punto di vista, serve mettersi nei panni degli altri. Anche qui in Zambia, gente con diverse possibilità economiche, che vive nei quartieri residenziali, sta puntando il dito e aggredendo chi si sta ribellando al lockdown. Ma è troppo facile e sbrigativo”.

Mentre Diego racconta, con la sua voce piena di comprensione e di speranza, ma anche parzialmente di frustrazione, penso che se questa Pandemia mondiale può insegnarci qualcosa, dovrebbe essere quella di smettere di sentirci il centro del mondo, e iniziare a pensare che non siamo gli unici abitanti di questo pianeta terra, e che pure, in qualche modo, siamo tutti connessi.

Mi risuonano nella mente le parole dell’omelia di padre Raniero Cantalamessa per la Messa della Passione del Signore presieduta da Papa Francesco:

La pandemia del Coronavirus ci ha bruscamente risvegliati dal pericolo maggiore che hanno sempre corso gli individui e l’umanità, quello dell’illusione di onnipotenza. Abbiamo l’occasione di celebrare quest’anno uno speciale esodo pasquale, quello “dall’esilio della coscienza”. “L’uomo nella prosperità non comprende – dice un salmo della Bibbia -, è come gli animali che periscono”.

È innegabile che, seppure nelle difficoltà che tutti stiamo affrontando in questi giorni, ci siano delle disparità e delle differenze inconciliabili tra i diversi stili di vita e le possibilità di ognuno. Come richiama l’omelia, c’è chi vive nella prosperità, seppure una prosperità fatta di semplici cose – come un tetto sopra la testa e la possibilità di poter restare a casa per alcuni mesi, magari senza guadagnare, ma quantomeno potendo sopravvivere – ma c’è chi vive in modo, invece, molto diverso. E dovrebbe essere questo momento, una chance per rifletterci e per ricordarlo.

Ci vogliono altre misure creative, proposte dalla comunità – continua Diego -. Noi siamo abituati alle epidemie, la nostra clinica è diventata l’anno scorso il centro per il Colera: l’abbiamo affrontato con misure di igienizzazione, abbiamo avuto l’esercito in strada che obbligava la gente a pulire – ma in quel caso bastava. Bisognava pulire prima di andare a lavoro. E alla fine tutti insieme ne siamo usciti. In questo caso è diverso, dobbiamo trovare nuovi modi: non c’è acqua potabile per molti. I ristoranti sono i primi a mettere fuori un secchio col sapone dove la gente può lavarsi. Spontaneamente. Dobbiamo capire che non serve importare soluzioni, come se le comunità locali fossero incapaci. Ci sono soluzioni che sono molto più calzanti se trovate sul luogo e a partire dalle comunità che lo abitano. Il distacco dalla comunità sarebbe la vera morte. Non puoi isolarti. Anche se fosse culturalmente accettato, non è fisicamente possibile”.

Diego sposta l’accento su qualcosa che mi interessa moltissimo: il senso di comunità in Africa. L’ho visto in Kenya, in alcune zone del Sud Africa quando ho vissuto li. Un mondo antico che ho molto amato e che mi porto dietro gelosamente.

Eppure, quando inizio a parlarne, lui mi dice:
Non posso parlare in generale. Ma posso parlare per Bauleni. Qui il senso di comunità è una giungla urbana: il concetto dell’«Io sono perché noi siamo» originato dai villaggi nel passato, non è quello che succede qui. Qui c’è molto individualismo, dobbiamo rieducarci alla cultura degli antenati. L’abbiamo persa qui a Lusaka, bisogna ritornare a questo. «Ci dobbiamo salvare insieme», come ha detto il Papa. Ritornare a sentirci responsabili, gli uni degli altri, credo sia una delle chiavi fondamentali di questa pandemia. «Rieducarci alla cultura degli antenati», come mi dice Sergio, riscoprire quel senso di umanità comune, profondamente cristiano, indipendentemente dal luogo del mondo in cui viviamo o nel quale siamo nati, spostando lo sguardo oltre noi, dove «io sono perché noi siamo», meraviglioso detto africano che finanche l’Africa sta perdendo“.

Tra le prime misure messe in atto per rispondere all’emergenza, Diego ha trasformato il suo Social Center in un centro di sensibilizzazione e di informazione per il Coronavirus, radunando, poco alla volta, vari gruppi di ragazzi, rispettando tutte le norme di social distancing e usando guanti e mascherine, e divulgando informazioni basilari e preziose riguardo all’epidemia, che non necessariamente erano a portata di tutti, stampando anche del materiale cartaceo da portare con sé. Sta provvedendo anche a comprare sapone e distribuirlo, e mettere a disposizione dei contenitori dell’acqua dove lavarsi. Per poter continuare a lavorare in questo momento di stop, Diego ha anche sfoderato I suoi talenti da carpentiere ed ha costruito, con legno totalmente riciclato, dei “mini bar da casa”, offrendo delivery in ogni luogo di Lusaka. Mentre finisco di scrivere, apprendo che è stato appena accertato il primo caso di Covid-19 a Bauleni.

La mia preghiera in questo momento di crisi è sicuramente per tutto il mondo, ma forse un po’ più forte è per l’Africa. “Il polmone spirituale del mondo”, come lo chiamò Papa Benedetto in uno dei suoi viaggi passati, che non può smettere di fornire ossigeno spirituale al mondo contemporaneo, e che pure è destinato a corrompersi, se non capiamo di essere tutti responsabili, gli uni per gli altri, tutti fratelli.

“Nessuno si salva da solo”.

Il sito web della ONG di Diego con tutte le info sui progetti. E la possibilità di aiutare concretamente, per chi volesse farlo, attraverso delle donazioni: http://www.inandoutoftheghetto.org/italia/

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